“People who live in society have learnt how to see themselves, in mirrors, as they appear to their friends. I have no friends: is that why my flesh is so naked?” Così Sartre sembra parafrasare l’intera storia di Magic Mike, un film spettacolare e crudo grazie al quale Soderbergh sembra ritrovare una vena creativa del tutto affievolitasi negli ultimi anni.
Grande merito va senz’altro attribuito al bel soggetto firmato, insospettabilmente, dal palestratissimo attore-modello Channing Tatum, che, contrariamente al detto “tutto muscoli e niente cervello”, fa tesoro della sua giovanile esperienza come ballerino in uno strip-club per signore di Tampa, Florida per raccontare la storia di Mike, aitante trentenne che si divide fra il lavoro giornaliero in cantiere e quello serale di stripper all’Xquisite Strip Club. Superficiale e dedito a eccessi di ogni tipo, Mike è la star di punta del locale, il leader del gruppo testosteronico che ogni sera manda in visibilio signore e signorine di ogni età sotto la guida del rozzo ma paterno Dallas. L’incontro con il giovane sbandato Adam, in cerca di un’identità più che di un lavoro, porterà Mike a (s)vestire i panni inediti del fratello maggiore, introducendolo nella bizzarra famiglia di spogliarellisti e nel loro surreale mondo. Ma sarà Brooke, la seriosa e rigorosa sorella di Adam, a provocare un reale cambiamento in Mike, facendolo riflettere sulla vacuità della propria esistenza, basata sul guizzare di bicipiti e sul mercanteggio deprimente del proprio corpo.
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