3%, la recensione della prima stagione
“Ciascuno di voi crea il proprio merito. Qualsiasi cosa succeda, lo meritate”.
Questa è una delle prime frasi che sentiamo all’inizio dell’episodio pilota di 3%, serie originale Netflix rilasciata il 25 Novembre, lo stesso giorno in cui è uscito il revival di Gilmore Girls. Con una concorrenza del genere c’era da aspettarsi che la serie brasiliana passasse in sordina, seppellita dai mille commenti su uno dei ritorni più attesi dell’anno. Però, nonostante questo inizio un po’ infausto, la serie è stata nella lista dei titoli più guardati della piattaforma digitale per settimane, portando all’annuncio del rinnovo per una seconda stagione già il 7 dicembre, poco più di 10 giorni dall’uscita internazionale. 3% racconta di una realtà distopica in cui la povertà è ormai la condizione standard per tutta la popolazione. L’unica possibilità per emergere dallo squallore e cambiare vita arriva alla soglia dei 20 anni, momento in cui tutti i ragazzi vengono sottoposti a un Processo, fatto di prove e tranelli di vario tipo, che aprirà le porte dell’Offshore a coloro che verranno ritenuti idonei. Essi andranno così ad aggiungersi a chi ha passato il Processo prima di loro, formando una società di privilegiati, il 3% selezionato artificialmente per portare avanti il progresso e la civiltà. Tra la popolazione scartata però il malcontento è alto e viene canalizzato in un’organizzazione clandestina, chiamata la Causa, intenzionata a far cadere il sistema sociale con ogni mezzo.
Da questa base così tradizionalmente distopica si sviluppa la storia che ci permette di seguire le varie fasi del Processo e di conoscere i ragazzi protagonisti, mettendo in mostra le loro capacità e le loro debolezze a seconda delle prove che si trovano a dover affrontare. Ciò che colpisce particolarmente è la cura nel design dei costumi, degli ambienti e delle tecnologie usate: minimal è la parola d’ordine, che sia per i vestiti o per l’arredamento, una sottrazione necessaria per mostrare a livello materiale ciò a cui si rinuncia andando avanti sul piano morale.
Le prove attoriali sono tutte di buon livello e danno la possibilità di conoscere una serie di interpreti poco noti, sia nel panorama brasiliano sia in quello internazionale. La serie non mantiene sempre lo stesso standard di qualità, conosce un’alternanza di alti e bassi (il quarto episodio è decisamente il migliore a livello di atmosfere, con dei rimandi visivi ad Arancia Meccanica che creano solo più tensione, mentre il finale lascia un sapore di telenovela in bocca), ma una cosa è certa: Netflix ha scommesso e ha scommesso bene, scegliendo un progetto ambizioso, creato da un quasi novellino con alle spalle poco più di due o tre progetti (Pedro Aguilera), e dandogli la possibilità di dimostrare che il posto che occupa è ben meritato.
Voto: 2,5/4
Francesca Sala