APRES MAI di Olivier Assayas (2012)
A due anni dal pluripremiato Carlos, imponente miniserie sulla figura del noto terrorista e mercenario degli anni 70, il francese Olivier Assayas torna a confrontarsi con la Storia, affrontando un’epoca cruciale che il Grande schermo ha più volte rappresentato, pur se non sempre con risultati eccelsi. Après Mai racconta il Sessantotto, o, meglio, il post-sessantotto: un ritratto di ciò che accadde “dopo il maggio francese”, con tutte le inquietudini, la rabbia e le crisi dei giovani figli della rivoluzione.
Al centro del film, un gruppo di liceali attivisti di sinistra nei primi anni Settanta, ritratti nel loro viaggio di formazione che passa attraverso l’ostinazione della lotta studentesca radicale, i primi amori, le aspirazioni creative personali. In particolare, lo sguardo del regista si riflette in quello del giovane Gilles, studente sensibile e irrequieto, anima pura in cui convivono il profondo e sincero impegno politico e il desiderio di dedicarsi all’arte.
Se pensiamo a come quest’epoca sia stata raccontata all’interno della Mostra del Cinema, non può che tornare alla memoria Il grande sogno di Michele Placido, presentato a Venezia nel 2009. Quanto però la pellicola italiana, pur ambiziosa, risultava banale e poco riuscita, così il film di Assayas funziona e coinvolge. Merito di una regia essenziale ma efficace nel rappresentare tutte le istanze del periodo, dalla contrapposizione destra-sinistra all’uso della violenza, al movimento hippie, senza però scadere nello stereotipo e riuscendo così a restituire una fotografia sincera di un’epoca.
E merito anche di un cast di giovani volti freschi e veri (in particolare il protagonista Clément Métayer), presi dal regista addirittura dalla strada o su Internet. Altro punto in favore del film è poi l’interessante discorso sul cinema e su come il linguaggio delle arti dovesse (debba?) adeguarsi ai cambiamenti sociali, alla comunicazione di un’ideologia, alle spinte della modernità. Per quanto le storie di questi ragazzi possano oggi apparire anacronistiche, non c’è nulla di datato: pur non privo di difetti (in particolare, forse l’eccessiva lunghezza), l’opera di Assayas è finalmente il ritratto totale di un’era irripetibile, un affresco completo e complesso, non solo per francesi (interessanti le sequenze ambientate in Italia) e non solo per nostalgici, della generazione che (anche se è fuori moda dirlo) ha cambiato il mondo.