Berlinale 2019: THE KINDNESS OF STRANGERS – La recensione
 
Lone Scherfig non ha mai nascosto la sua vena sentimentale e melodrammatica. Basti pensare ai suoi successi più celebri, come An Education (2009) o One Day (2011) per comprendere con quale tonalità di cinema e di stile avremo a che fare. The Kindness of Strangers, film d’apertura alla 69esima Berlinale, chiaramente non è da meno. 

 
In una New York a tratti irriconoscibile, il film segue le avventure di una giovane madre (Zoe Kazan) in fuga dal proprio nido familiare. Il suo scopo è sopravvivere con i due bambini lontano da un marito violento che ha qualche scheletro nell’armadio. Non sarà una passeggiata, anche se il film in qualche modo somiglia a una sorta di on the road a piedi: divani, centri di accoglienza per senzatetto, tavoli di ristoranti, biblioteche…i protagonisti del film vagano senza sosta alla ricerca di un “letto” sul quale potersi riposare e prendere fiato, una continua e costante fuga dal luogo più sicuro e accogliente di sempre: la famiglia.
 
In anni in cui il cinema ha posato a più riprese il suo sguardo su quello dei migranti, delle grandi traversate marittime in nome di un’integrazione che abbatta tanto le barriere sociali quanto quelle fisiche, ecco che la Berlinale sceglie di esordire con un lavoro che chiaramente guarda a questo aspetto in nome di un cambiamento che sia capace di far riscoprire il valore della solidarietà umana e della parità di diritti (non è un caso che la figura maschile sia tratteggiata in maniera decisamente più stereotipata ed elementare rispetto alla forte presenza della protagonista). Se la Scherfig è brava ad alternare con costanza momenti di ilarità a sequenze più tese e drammatiche, quello che le riesce indubbiamente meno è costruire un film in grado davvero di colpire gli occhi e il cuore del pubblico. 
 
The Kindness of Strangers si rivela infatti come un’accozzaglia di episodi singoli costruiti appositamente per ricercare la lacrima facile del pubblico più emotivo: donne sole, con a carico bambini tosti, coprimari pentiti che cercano una redenzione e buffi stranieri (o presunti tale) che hanno imparato ad adeguarsi nella nuova vita. Gli ingredienti “furbi” sono fin troppi, sviluppati per giunta nella più semplice delle modalità, insistendo sul patetismo e con un’abbondanza di retorica da record. Bill Nighy e Zoe Kazan fanno quel che possono per provare a risollevare le sorti del progetto ma non basta.
 
Voto 1,5/4