“Il cinema americano in Italia”: intervista all’autore Federico Di Chio

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“Un film americano innanzitutto è sempre un film. Cioè non annoia […]. Volgari, violenti, convenzionali, senza verosomiglianza, senza finezze psicologiche e fotografiche. Ma fatti fatti fatti. Un bacio e una rivoltellata. Una preghiera e un inseguimento […]. Cullati dal ritmo rapido, incessante e perfetto dei tagli di visione, ci abbandoniamo anche noi alla facile inquietudine della trama.” Così Mario Soldati scriveva nel 1935 in America, primo amore. È forse cambiato l’impatto del cinema americano sul nostro immaginario di spettatori cinefili?

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“DreamWorks Animation. Il lato chiaro della luna” di Matteo Mazza e Simone Soranna

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Per anni paragonata (al ribasso) con i “rivali” della Pixar, la DreamWorks Animation SKG ha segnato in modo significativo la storia del cinema d’animazione, sotto l’egida dei fondatori Steven Spielberg, Jeffrey Katzenberg e David Geffen. Con film e saghe di forte impatto e straordinario successo di pubblico quali Shrek, Kung Fu Panda e Madagascar, solo per citare i titoli più celebri, ha creato un modello e un immaginario visivo e narrativo di forte riconoscibilità. Questo a dispetto dei già citati (e inutili) confronti con la concorrenza, che come conseguenza hanno prodotto una sottovalutazione dei film in questione e una scarsità assoluta di studi e pubblicazioni, almeno in Italia. A colmare questa lacuna ci pensa il volume DreamWorks Animation. Il lato chiaro della luna, edito da Bietti nella collana Heterotopia e curato da due nomi già noti a I-FILMSonline: Matteo Mazza e Simone Soranna.

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Il cinema dopo il cinema 1. Dieci idee sul cinema americano 2001-2010 di Roy Menarini

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Con la scelta di indagare le mutazioni del cinema americano in un lasso di tempo limitato, in Il cinema dopo il cinema 1. Dieci idee sul cinema americano 2001-2010, Roy Menarini non fa una semplice operazione di ritaglio ma propone un metodo di percezione, o di visione potremmo dire appropriatamente, di quello che è l’“oggetto” cinema; considerato come un territorio di apparizione, una superficie di emergenza su cui affiorano elementi diversi.

Ciò che noi possiamo dire del cinema è sempre generato nel quadro di un sapere e di una condizione storica anch’essi in continua mutazione. Infatti, il titolo del libro non allude a un’ipotetica morte del cinema e al suo rinascere ma allo spazio di una trasformazione; che cambia molto di ciò che c’era prima eccetto il carisma, un’influenza indiscutibile, una vera e propria aura recuperata e assunta ora dal cinema nella sua totalità in quanto arte e non in riferimento a singole opere, dopo che, come giustamente aveva visto Walter Benjamin, era stata proprio la nascita del cinema (e della fotografia) a sancirne la scomparsa, cancellando unicità, autenticità e autorità dell’opera singola con la riproducibilità tecnica.

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Empirismo eretico di Pier Paolo Pasolini. Una nota

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In Pier Paolo Pasolini lesperienza cinematografica è da considerarsi una ricerca, uno sforzo in direzione dellespressione, che assume le forme del dubbio quando ci si appresta a elaborarla concettualmente. Empirismo Eretico raccoglie alcune delle più importanti riflessioni pasoliniane in proposito: lopera, pubblicata nel 1972, contiene le note di teoria cinematografica del regista che, come in un lavoro interdisciplinare, si confronta con sociologia, linguistica, semiologia. Si tratta di un documento che tiene insieme tutti gli interventi dellautore anche in merito a lingua” e letteraturaa partire dalle nuove proposte che avanzano da quelle discipline.

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CLINT EASTWOOD. UN CINEMA CHE CI RIGUARDA di Adriano Piccardi

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Il libro di Adriano Piccardi ha il suo primo merito nel fatto di non tracciare un “profilo” dell’autore di cui si occupa. Perché questo è un bene? Perché ci libera da tutta una serie di costrizioni a cui conduce l’idea stessa di autore, finendo spesso per essere un centro magnetico vicino al quale ogni argomentazione è costretta a piegarsi.

Sembra paradossale per un libro intitolato inequivocabilmente Clint Eastwood, ma è il sottotitolo a indicare la prospettiva di visione, facendo da sottotesto a tutta la riflessione che ne segue: l’espressione Un cinema che ci riguarda opera un cambio repentino di soggetto, è qualcosa di cui ci si rende conto solo a uno sguardo più prolungato, mentre si tiene il libro tra le mani e lo si osserva aspettando religiosamente – non si sa cosa – di aprirlo per la prima volta (questo è un rituale che i tanti feticisti del libro possono capire perfettamente).

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IL CORVO: da James O’Barr al film con Brandon Lee

“Non può piovere per sempre”

corvo-fumetto-film-1Chi non conosce questa frase? Eppure, come spesso accade, le citazioni perdono le proprie origini per rimanere indelebili solo nella loro forma. Ed è un peccato, perché opere toccanti come Il Corvo rischiano di essere dimenticate. Era infatti il 1994 quando l’allora esordiente Alex Proyas, che a curriculum portava con sé la regia di diversi videoclip musicali, dava vita sul grande schermo alla graphic novel di James O’Barr, consacrandola definitivamente. Come spesso accade, però, Proyas prende solo spunto dall’opera originale, dando vita ad un progetto differente, a tratti più coerente, caricandolo ulteriormente di una componente romantica e a tratti commovente, per un film che, sì, può essere visto come un film di supereroi – di anti eroi – con tinte dark, thriller (per qualcuno anche horror), ma che, in realtà, è una storia d’amore. Tra le più belle mai raccontate.

Eric Draven (Brandon Lee), risvegliato dal picchiettio di un corvo sulla sua lapide, torna in vita la notte di Halloween, per vendicare la morte della sua amata Shelley, uccisa un anno prima da una banda di malviventi.

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Child of God: da McCarthy a James Franco

child of godCon Child of God, James Franco ha dato dimostrazione della sua bravura, riuscendo a imprimere la sua firma cinematografica. Il regista conferma di saper girare film rischiosi (oltre alle altre infinite attività che svolge nel mentre, come studiare, insegnare, vedere pellicole e criticarle, sceneggiare, recitare, e probabilmente anche respirare), non tanto per la trasposizione di alcuni libri sul grande schermo, ma più per l’argomento in essi trattato. Child of God si basa sull’omonimo romanzo di Cormac McCarthy, e per chi lo avesse letto, ci si rende subito conto di quanto questo romanzo sia un sfida da affrontare.

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IL NUOVO CINEMA DI HONG KONG. VOCI E SGUARDI OLTRE L’HANDOVER di Stefano Locati ed Emanuele Sacchi (2014)

il nuovo cinema di Hong Kong1997: dopo un secolo e mezzo di dominio britannico, Hong Kong entra a far parte della Repubblica Popolare Cinese (come regione amministrativa; il controllo completo entrerà in vigore nel 2047). L’impatto che questa svolta storica, comunemente indicata con il termine handover, ha avuto sulla città-stato e sull’intero sistema geopolitico dell’Estremo Oriente ha condizionato in maniera irreversibile anche quella che fino agli anni ’90 è stata la terza industria cinematografica del mondo. Con questo radicale ridimensionamento dei confini, a causa del quale il gigante cinese sta progressivamente “inghiottendo” la ex colonia anche dal punto di vista culturale, l’identità della produzione cinematografica locale è destinata a dissolversi? A questa domanda risponde il saggio Il nuovo cinema di Hong Kong. Voci e sguardi oltre l’handover di Stefano Locati ed Emanuele Sacchi – rispettivamente fondatore e direttore del sito web Hong Kong Express – ed edito da Bietti Heterotopia.

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12 anni schiavo: dalle pagine di Solomon Northup al film di Steve McQueen

12 anni schiavo-2«Poiché la mia è la storia di un uomo nato in libertà, che poté godere dei benefici di tale condizione per trent’anni in uno Stato libero e che fu poi rapito e venduto come schiavo e tale rimase fino a al felice salvataggio avvenuto nel mese di gennaio del 1853, dopo 12 anni di cattività, mi è stato suggerito che queste mie vicende potrebbero rivelarsi molto interessanti per il grande pubblico». (Solomon Northup, 12 anni schiavo, 1853)

Queste le parole con cui Solomon Northup apre il suo romanzo autobiografico, da cui Steve McQueen ha tratto 12 anni schiavo, il gigantesco film candidato a 9 premi oscar e che in Italia arriva solamente il 20 gennaio, tra le polemiche per le locandine accusate di razzismo, con Brad Pitt o Michael Fassbender in primissimo piano e Chiwetel Eijofor relegato in un angolo. E quando Solomon Northup parla di «vicende molto interessanti per il grande pubblico», non poteva neanche immaginare quanto sarebbe stata importante la sua opera per un tema delicato come il razzismo e la schiavitù, trattato già diverse volte sul grande schermo ma mai con questa incisività. Si pensi a grandi film come Il colore viola (11 nominations agli oscar, ma la maggior parte andati a La mia Africa), Amistad (4 nominations agli oscar stravinti da Titanic), di Steven Spielberg, piuttosto che all’ultimo irriverente Django Unchained di Quentin Tarantino, che tanto ha fatto infuriare Spike Lee: si tratta senz’altro di pellicole notevoli, ma che non hanno saputo raggiungere l’enormità, l’intensità e la rude poesia regalate da Steve McQueen, definitivamente consacrato dopo Hunger e Shame.  

 

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