CHAVEZ – L’ULTIMO COMANDANTE di Oliver Stone (2009)
5 marzo 2013: dopo una lunga battaglia contro il cancro, muore Hugo Chávez, leader del Venezuela dal 1999. Rivoluzionario riformista o dittatore, paladino dei poveri o populista? Mentre il mondo s’interroga post mortem su uno dei personaggi più controversi della storia recente e milioni di venezuelani continuano a piangerlo, Movimento Film sfrutta la data delle nuove elezioni (che hanno appena visto la vittoria di Nicolás Maduro, delfino di Chávez) per portare in sala, nel solo 16 aprile, il doc che Oliver Stone presentò alla Mostra di Venezia nel 2009.
Insieme ai ben tre film dedicati a Fidel Castro, Chávez – L’ultimo comandante fa parte di un viaggio nell’humus geopolitico dell’America Latina, compiuto da un autore che ha fatto dell’impegno civile un aspetto ponderante della propria cinematografia. Persino l’ultimo film di fiction, il pur incolore Le belve (sullo sporco mondo del narcotraffico) si inseriva a modo suo in un discorso politico sui rapporti tra Nord e Sud America.
Dopo le interviste intime al “grande nemico” degli Usa Castro, Stone ha attraversato il Mar dei Caraibi ed è approdato in uno dei paesi chiave per l’economia mondiale, a indagare sulla personalità di Hugo Rafael Chávez Frías: colui che il sistema mediatico americano ha da sempre dipinto come un pericoloso dittatore. Il film parte proprio da un intelligente mix di materiali di repertorio dell’informazione televisiva statunitense, commentati da esperti politologi e giornalisti come Tariq Ali: è dura la staffilata contro l’atteggiamento dell’amministrazione Bush (coinvolta nel golpe del 2003 che tentò inutilmente di destituire Chávez) e contro le politiche del Fondo Monetario Internazionale, troppo filo-occidentali e insensibili alle esigenze del sud del mondo.
Poi avviene l’incontro tra l’autore e il presidente, decisamente fuori dagli schemi dell’intervista istituzionale: il comandante non solo parla delle sue riforme, citando continuamente il suo grande modello Simon Bolívar, ma esce dalle stanze del potere, stringe mani, visita i luoghi d’infanzia, scoppia in una fragorosa risata quando cade dalla sella di una vecchia bicicletta.
South of the Border, questo il titolo originale, non è però solo un film su Chávez, quanto piuttosto sulla rivoluzione progressista che negli anni Duemila ha scosso l’intero Sudamerica portando al potere figure politiche di sinistra: Stone e la sua striminzita troupe hanno intervistato Evo Morales in Bolivia, Raúl Castro a Cuba, i Kirchner in Argentina, Lula da Silva in Brasile, Fernando Lugo in Paraguay, Rafael Correa in Ecuador, tutti accomunati dalla vicinanza con i principi bolivariani e con il sogno di un continente unificato e finalmente emancipato dalle ingerenze socio-economiche americane.
Quello di Stone, liberal decisamente influenzato del socialismo di matrice latina (tanto da trascurarne gli aspetti più controversi; forse più ancora del marxismo lo affascinano le figure carismatiche dei leader assoluti?) è un viaggio della speranza, non a caso intrapreso proprio in concomitanza con una svolta fondamentale per la storia americana come la fine dell’era Bush e l’elezione di Obama.
Il punto però è qui un altro: vale la pena lanciare ora in sala questo film? Hugo Chávez. L’ultimo comandante è ormai un documento storico, non un film attuale. Perché nel frattempo è arrivata la crisi economica, gli equilibri geopolitici del mondo stanno cambiando in maniera forse irreversibile e il chavismo ha dimostrato tutte le sue imperfezioni. E come sarà il Venezuela (e il mondo) senza Chávez, lo scopriremo molto presto.
Voto: 2,5/4