CLOUD ATLAS di Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski (2012)
Il déjà vu è un fenomeno psichico che consiste nella sensazione erronea di aver già visto un’immagine o di aver già vissuto precedentemente una situazione che si sta verificando nel presente. E se questa sensazione non fosse errata? Se ciò che sentissimo fosse un legame con una vita passata di cui non abbiamo alcun ricordo? Lo scrittore David Mitchell ha costruito un complesso e intricato racconto totalmente incentrato sulla reincarnazione, fulcro della ciclicità storica. Solamente due temerari registi come i fratelli Wachowski (con la collaborazione di un terzo cineasta, il tedesco Tom Tykwer) avrebbero pensato di trasporre un libro del genere. Dopo un mastodontico lavoro di sceneggiatura e realizzazione, esce finalmente nelle sale l’omonimo Cloud Atlas, pellicola interpretata da Tom Hanks, Halle Berry, Hugo Weaving, Jim Broadbent, Susan Sarandon, Hugh Grant e Jim Sturgess.
Il film ricalca molto fedelmente la struttura che fa da scheletro al testo di Mitchell: sei diverse situazioni verificatesi in sei diversi momenti storici sono sviluppate contemporaneamente e apparentemente senza un legame preciso. Lo spettatore così verrà sbalzato dalle disavventure di una giornalista del 1973, alle peripezie di un editore nostro contemporaneo, fino ai lontani 2144 e 2300. Più si procede nella narrazione però, più s’intuisce quanto i personaggi siano connessi l’uno all’altro. La linearità del testo filmico è spezzata continuamente dall’intreccio narrativo, le storie sono sviluppate parallelamente senza alcuna soluzione di continuità.
Se nel romanzo bastava una voglia (a forma di stella cometa) per far cogliere la continuità nell’esistenza umana, i realizzatori del film hanno deciso di sottolineare (superfluamente) ancor più questo aspetto utilizzando ogni attore più volte (truccato e acconciato nei modi più disparati). Così avremo un Tom Hanks centenario sfigurato, un Hugo Weaving temibile infermiera e un Jim Sturgess improbabile asiatico. Questa è la prima nota dolente: il ricorso massivo al make up ha stravolto e reso grottesca le interpretazioni.
I creatori di Matrix non hanno tradito le attese almeno per quanto riguarda l’aspetto meramente visivo. La superba fotografia è in grado di incantare sia attraverso la furia della natura che si scatena attorno a un veliero ottocentesco, sia nella ricostruzione minuziosa di una Seul del futuro sviluppata in verticale. Gli amanti degli effetti speciali sono pressoché accontentati, così come lo furono tredici anni fa con le avventure di Neo e Morpheus.
L’amore è il protagonista di un epico viaggio alla scoperta dell’animo umano nella sua più profonda essenza. Peccato che l’intero sviluppo sia costantemente accompagnato da una strana aura che ben presto si tramuta in un fastidioso approccio positivista. Tutto ciò che il progresso comporta e tutti gli errori che l’umanità ha commesso vengono banalmente indultati a patto che si ami.
Voto: 2/4