COSMOPOLIS di David Cronenberg (2012)
Nessuno morirà. Non è questo il credo della nuova cultura? Verranno tutti assorbiti dentro flussi di informazioni. Non ne so nulla. I computer moriranno. Stanno morendo nella loro forma attuale. Sono quasi morti come unità distinte. Una scatola, un monitor, una tastiera. Si stanno fondendo nel tessuto della vita quotidiana.
Don DeLillo, Cosmopolis
Un giovane miliardario sale sulla sua limousine bianca per andare dal barbiere a tagliarsi i capelli. E’ l’inizio di un viaggio di (de)formazione, surreale e terribile, che lo porterà ad attraversare Manhattan per andare incontro al proprio destino.
Ecco la trama di Cosmopolis, attesissimo film diretto da David Cronenberg che ha adattato il romanzo omonimo di Don DeLillo, trovando, ancora una volta, il compendio ideale per le sue ossessioni. Il presente futuristico in cui si compie l’odissea del giovane Eric Packer fa percepire e presagire il totale annullamento dell’essere umano nella tecnologia, creando un parallelismo notevole con Crash (1996, in cui il regista profetizzava la fusione tra uomo e meccanica dell’automobile, qui sostituita da quella tra uomo e cyber capitali, flussi di informazioni in rete): in questo senso, l’automatismo dei personaggi e la sconnessione dei rapporti umani (si veda, ad esempio, la relazione tra Packer e la sua giovane, eterea moglie) sono funzionali a far percepire la confusione tra presente e futuro, simbolizzata dall’apatia del protagonista (un Robert Pattinson perfetto per il ruolo), emblema dell’inespressiva umanità che lo circonda.
La sceneggiatura, fedelissima al romanzo di DeLillo, riporta i dialoghi quasi alla lettera: ma l’intento di Cronenberg non è tanto quello di far assimilare il loro assai complesso significato, quanto quello di trascinare lo spettatore in un flusso ipnotico in cui Packer, nel suo delirante percorso, arriva a comprendere l’importanza dell’anomalia in un mondo dominato dalla perfezione e dall’equilibrio, ossessionato dalla ricerca della simmetria.
Un film verboso e ostico, di difficile comprensione, che è stato aspramente criticato alla sua presentazione a Cannes, ma destinato ad essere rivalutato nel tempo; un film il cui merito principale è quello di riuscire a rappresentare un’umanità dolente e spaventosa nella desolazione del nostro nuovo millennio.
Voto: 4/4