DEAD MAN DOWN – IL SAPORE DELLA VENDETTA di Niels Arden Oplev (2013)

Non è affatto semplice recensire Dead Man Down – Il sapore della vendetta. Motivo? Arduo scrivere sul nulla. Nessuna valida ragione per spendere anche una sola parola sull’avventura americana di Niels Arden Oplev, autore della trasposizione cinematografica della saga Millennium prima di David Fincher, in cui il danese aveva dimostrato una sapienza tecnica notevole.

L’impresa va comunque affrontata.

 Victor (Colin Farrell, garanzia di mediocrità) è il braccio destro di Alphonse Hoyt (Terrence Howard), boss malavitoso di New York coinvolto in speculazioni edilizie: l’apparente fedeltà al capo nasconde il desiderio di vendicare l’assassinio di moglie e figlia, il cui mandante è proprio Hoyt. L’impresa del nostro eroe viene però ostacolata da Beatrice (Noomi Rapace), giovane donna sfigurata in un incidente che, per rovinare la vita al responsabile delle sue sofferenze e farsi aiutare da Victor, è disposta a ricattarlo.

 Niente da salvare in questo action thriller (?) che in America è stato vietato ai minori di 18 anni per violenza, scurrilità e scene di sesso (bah): sceneggiatura improbabile, regia inesistente, stereotipizzazioni imbarazzanti (il macho dal cuore d’oro, la fanciulla ferita nel corpo e nello spirito, il malefico antagonista) e performances al limite del ridicolo, a cominciare da Farrell (in questo caso, più che marmoreo, inebetito) per proseguire con un’improponibile Rapace (dov’è la splendida interprete di Lisbeth Salander? Persa nelle vitaminiche superproduzioni targate USA?). A completare l’ineffabile cast, una fastidiosa (comme d’habitude) Isabelle Huppert nel ruolo (involontariamente comico) della madre sorda di Beatrice (!) e F. Murray Abraham (impossibile comprendere la decisione, da parte di un attore di tale calibro, di farsi coinvolgere in un’operazione del genere) nei panni di Gregor, mentore del protagonista.

 

Finale becero come pochi tra esplosioni, sparatorie ed automobili che sfondano muri planando in salotti ben arredati, con annessa ultimissima scena rassicurante e consolatoria (l’amore può vincere su tutto, anche sugli istinti più feroci dell’essere umano).

Un film presuntuoso e mortalmente noioso, di desolante piattezza: ci si chiede se il regista sia davvero quell’Oplev autore dell’adattamento delle pagine di Stieg Larsson, gelidamente immortalate in tutta la loro crudezza.

Consiglio spassionato: risparmiate i soldi del biglietto.

 

Voto: 1/4

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