DUNE di Denis Villeneuve, la recensione
La storia del cinema è piena di progetti “maledetti” e quello dell’adattamento di Dune di Frank Herbert è stato per anni uno di questi esempi: l’insuccesso della versione di David Lynch (che pure è un’opera affascinante) è mitico almeno quanto il fallimento della rielaborazione psichedelica e abortita di Alejandro Jodorowski (anche Ridley Scott ci provò inutilmente, per poi “ripiegare” su Alien). Denis Villeneuve prova a spezzare la maledizione con questo lavoro che per ambizione forse supera persino il suo Blade Runner 2049. Alla faccia di chi lo considera infilmabile, il romanzo di Herbert prende forma sullo schermo nella prima parte di un dittico che, già rinviata per il Covid, ha l’arduo compito di restituire una volta per tutte al pubblico la grandiosità del cinema per cui il grande schermo è vettore fondamentale (per questo, l’idea di far uscire negli Usa in sala e contemporaneamente su Hbo Max è assurda, e giustamente osteggiata da Villeneuve).
Premessa d’obbligo: Dune non è fantascienza per famiglie, non cede (proprio come BR 2049) alle lusinghe di un cinema meramente commerciale ed è altamente sconsigliato ai finti cinefili di scarsa cultura già pronti ad accusarlo di scopiazzare Star Wars o Il trono di spade (semplicemente perché il Dune di Herbert è venuto prima ed è stato anzi dichiaratamente una fonte d’ispirazione per George Lucas). Meglio dunque sgomberare il campo da pregiudizi e dalle facilonerie della pseudocritica da social – una piaga per l’analisi cinematografica in generale negli ultimi anni – e calarci nell’universo ricreato da Villeneuve, un vero e proprio viaggio dei sensi.
La potenza visuale di questa space opera che racconta la saga della famiglia Atreides in un futuro e in una galassia all’insegna di una cultura feudale, viaggi spaziali e suggestioni mistiche, è qualcosa di innegabile: accompagnate dalle musiche di Hans Zimmer, le immagini sono di una maestosità imponente (asciugata del kitsch di Lynch/De Laurentiis) che non può lasciare indifferenti. Cinema kolossal con tutti i crismi, per scenografie, paesaggi, complessità narrativa, cast all star (Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Zendaya, Chen Chang, Charlotte Rampling, Jason Momoa, Javier Bardem). Se questo impianto di straordinaria visionarietà funzioni a livello empatico, è poi una questione di gusti, reazioni personali, amore o meno per il romanzo di partenza (cui il film è molto fedele): Villeneuve ci ha messo tutto se stesso, ma sotto la confezione impeccabile e austera e il pur interessante disegno dei personaggi (per quanto in parte ancora abbozzati) le emozioni restano raffreddate. Per giudicare l’operazione sarà necessario aspettare il secondo capitolo, per esplorare l’evoluzione del giovane Atreides, il rapporto con i Fremen e con Chani (che, a quanto pare, sarà la vera protagonista). Il tutto nella speranza che il film guadagni abbastanza, in tempi di Covid, da permettere al cineasta canadese di completare il suo progetto. Nell’attesa, ci possiamo beare con sequenze di pura spettacolarità, su tutte l’attacco degli Harkonnen su Arrakis, una vera scossa visiva.
Voto: 2,5/4