IL FONDAMENTALISTA RILUTTANTE di Mira Nair (2012)
La prima curiosità che salta all’occhio per Il fondamentalista riluttante è che si tratta del primo titolo che è stato presentato alla Mostra di Venezia sotto la rinnovata direzione di Alberto Barbera.
Scelto come film d’apertura della kermesse 2012, è la quinta opera di Mira Nair che ha avuto la sua anteprima in laguna: tra queste il colorato Monsoon Wedding- Matrimonio indiano, le fruttò anche l’ambito Leone d’Oro nel 2001.
Confermando la sua predilezione per storie di integrazione e incontri interculturali, Nair porta sul grande schermo il fortunato romanzo Il fondamentalista riluttante, che dà anche il titolo alla pellicola, offrendo un punto di vista inedito sul Pakistan post-undici settembre.
Attraverso l’intervista-confessione con l’ambiguo giornalista americano Bobby, un giovane accademico di nome Changez prova a raccontare la distruzione del sogno americano visto dagli occhi della minaccia islamica, del potenziale terrorista in seno all’impero capitalista ferito, e il suo ritorno in un Pakistan confuso, terrorizzato e privato della propria libertà da una potenza arrabbiata, all’affannosa e cieca ricerca di un capro espiatorio.
Dai primi passi negli States come studente carico di debiti e di belle speranze, all’ascesa nel perfido mondo della finanza newyorchese, fino allo schianto delle torri che lo trasforma, in un lampo, in reietto, Changez è alla ricerca della propria identità, indeciso se rispettare i valori tramandatigli dalla famiglia e dal padre poeta, uomo profondo ma dal conto sempre in rosso, o abbracciare lo squalismo occidentale, che taglia teste per alimentare stellari carriere, senza curarsi delle vittime che miete.
Attraverso un dualismo visivo e sonoro tra il caleidoscopio orientale e la glacialità di ferro e acciaio di Manhattan, Nair prova a restituirci le impressioni di una frattura insanabile tra due mondi che sembrano agli antipodi ma che, suggerisce, sotto sotto hanno molto in comune, a partire dalla facilità con cui si aggrappano ai pregiudizi contro l’altro per giustificare le rispettive sconsideratezze.
Le oscillazioni temporali tra il racconto degli anni americani di Changez e un presente pakistano fatto di rivolte studentesche e biryani, rapimenti di occidentali e facili fondamentalismi, non fanno che confermare l’impressione che poco importi si tratti di Stati Uniti o Medio Oriente: i difetti degli uomini sono sempre gli stessi.
Appassionata e orgogliosa nel dipingere il vivace ritratto di un Paese a lei vicino, Nair conduce la riflessione ideologica con mano ferma, pur senza raggiungere guizzi eccezionali, e le oltre due ore di durata scorrono veloci.
Il cast aiuta, con un ironico Kiefer Sutherland nei panni dello squalo finanziario, un impenetrabile Liev Schreiber che interpreta Bobby, il giornalista, e l’attore-rapper di origine pakistana Rizwan Ahmed, sperduto e perplesso protagonista.
Insipida e bolsa invece Kate Hudson, il cui personaggio di artista tormentata dai traumi del passato ha un che di cliché.
Voto: 2,5/4
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