Il cinema come esperienza immersiva: intervista a Stefania Casini

 

In occasione dell’uscita in sala del documentario Nessuno siamo perfetti, abbiamo intervistato la produttrice del film Stefania Casini. Volto storico e duttile del cinema (e non solo), è stata attrice per i più grandi registi italiani da Bernardo Bertolucci (Novecento) a Dario Argento (Suspiria), da Pietro Germi (Le castagne sono buone) a Marco Ferreri (Ciao maschio), fino a Carlo Verdone (Maledetto il giorno che t’ho incontrato) e a un importante nome internazionale come Peter Greenaway (Il ventre dell’architetto). La carriera di Stefania fuori dai confini cinematografici ha compreso moltissime attività: attrice teatrale e di fiction, giornalista, autrice di reportage, conduttrice al Festival di Sanremo 1978. Oggi si occupa prevalentemente di produzione con la Bizef, fondata insieme al marito Giancarlo Soldi, regista di Nessuno siamo perfetti. Abbiamo parlato con lei del suo passato, dei progetti futuri, dello stato del cinema italiano.

 

Il suo percorso attoriale ha compreso collaborazioni con grandissimi registi. A quale di questi artisti si sente più legata, per ricordi personali? Può regalarci un aneddoto su queste straordinarie esperienze?

Quando lavori con questi grandi registi non c’è né uno che ti piace di più, ognuno ha un metodo di lavoro talmente diverso che non puoi fare paragoni. Sono così unici! Forse, quello che più mi ha colpito per la sua atipicità è stato Peter Greenaway. È un visionario. Sul set parlavo con lui non come un’attrice che si rivolge al suo regista per sapere come deve recitare. Parlavamo di come costruire la scena in termini di vuoti e di pieni, della costruzione dello spazio e degli attori, del senso del colore… Era un rapporto molto particolare, perché ragionavamo allo stesso modo, potrei dire quasi alla pari. È stata un’esperienza importante anche perché è arrivata in un momento in cui pensavo che non avrei più recitato.

 

A un certo punto della sua carriera ha deciso di darsi soprattutto alla regia e alla produzione: ha sentito che la semplice recitazione non bastava a soddisfarla?

A 30 anni pensavo di essere finita come attrice! Ero andata a New York a girare un film con Andy Warhol (Il male di Andy Warhol di Jed Johnson, ndr) e per mantenermi ho cominciato a fare reportage, per cui in quegli anni ho girato l’America in lungo e in largo. Ho incontrato Francesca Marciano, che faceva le stesse cose che facevo io: insieme abbiamo scritto e diretto Lontano da dove, che ha partecipato alla Mostra di Venezia. Ormai nella mia testa avevo dirottato da un’altra parte, anche se recitare, comunque, mi è sempre piaciuto. Se qualcuno me lo chiede lo faccio ancora, mi capita spesso di fare camei per registi amici. Certo, forse mi mancano le occasioni, anche perché non frequento troppo i giri del cinema italiano. Ora produco le cose mie e di mio marito. Il documentario è più interessante del cinema di finzione.

 

L’ultimo film da lei prodotto è Nessuno siamo perfetti di Giancarlo Soldi, dedicato a una figura fondamentale del fumetto italiano come Tiziano Sclavi. Cosa l’ha spinta a dedicarsi a questo progetto?

Il progetto è nato perché Giancarlo Soldi (mio compagno da 25 anni) è un amante dei fumetti e un amico di Sclavi. L’ho spinto a fare questo film perché ho pensato che fosse importante raccontare come un artista possa essere divorato dalla sua stessa creazione. Sclavi è un artista che affronta il suo lato oscuro nei suoi fumetti e nei suoi libri.

 

Crede che il cinema italiano in futuro potrà sviluppare un rapporto più stretto con la nostra vasta letteratura fumettistica, come sta facendo Hollywood negli ultimi anni?

Il problema è che i registi italiani sono vecchi. Fanno film vecchi, scrivono sceneggiature in cui francamente non vedo mai grandi risvolti. Gli unici visionari oggi sono i grandi come Sorrentino e Garrone (vedi Il racconto dei racconti, un film magnifico che però a quanto mi dicono non sta avendo molto successo). Le commedie di oggi non mi fanno neppure ridere, sono film carini, ma non contengono vere innovazioni. Nel fumetto non c’è solo una storia, ma una dinamica del racconto visionaria interessantissima. I nostri registi non sanno vedere al di là della vignetta, della pagina. Certo, qualcuno ci prova, credo che faranno qualcosa con Zerocalcare. È anche vero che è molto difficile convincere i produttori a lavorare a questo tipo di progetti. Il cinema americano non si è limitato a riproporre sullo schermo personaggi come Batman, ma li ha reinventati attraverso operazioni molto interessanti.

 

Lei è stata anche giornalista e documentarista, attrice di fiction, persino conduttrice del Festival di Sanremo (e ha anche una laurea in architettura!). Cinema, teatro, televisione: mezzi diversissimi tra loro per stile e fruizione. In quale di questi ambiti si trova maggiormente a suo agio e quale pensa che oggi (in Italia) regali maggiori stimoli?

In nessuno di questi ambiti mi trovo molto a mio agio, ma perché quello che mi interessa è la ricerca: un ambito in cui mi sento a mio agio non mi interessa davvero, devo trovare qualcosa in cui sperimentare. In questo momento sono molto interessata al transmediale, mi attrae la contaminazione dei media, la capacità di costruire un racconto che possa indirizzarsi su media diversi. Sto preparando qualcosa di diverso. La tv come la concepiamo oggi ha i giorni contati: in futuro diventerà una scatola in cui ognuno andrà a scegliere i contenuti che preferisce. Per quanto riguarda la sperimentazione che riguarderà il cinema, probabilmente vedremo sempre più animazione: gli americani fanno cose grandi meravigliose con i cartoni animati e con gli effetti speciali. E continuare a sperimentare è necessario, altrimenti la ritualità del cinema rischia di morire.

 

Lei è Vice Presidente di Doc/it, l’Associazione Documentaristi italiani: cosa si aspetta dal futuro del documentario italiano?

Il documentario italiano sta vivendo una stagione meravigliosa, abbiamo moltissimi talenti che provano a raccontare la realtà. Mi viene in mente un esempio come Io sto con la sposa, che ha cercato di esplorare un nuovo linguaggio cinematografico. Con il documentario puoi permetterti di essere creativo sia nel racconto che nella produzione: grazie ai costi contenuti, ti si apre un mondo di sperimentazione che il cinema di finzione non ti può dare. Ora si tratta di capire come le istituzioni (dal MiBACT alle Film Commission) riusciranno a fornire incentivi, per esempio attraverso bandi dedicati. Stiamo lottando perché questi imprenditori (perché questo sono i registi, dal momento che danno lavoro ad altre persone) possano non solo “sopravvivere”, ma anche continuare a sperimentare. La tv, da parte sua, sembra non avere spazio per il documentario, che in questo momento stiamo vedendo soprattutto al cinema. Eppure, l’attenzione da parte della televisione dovrebbe essere molto più grande, specialmente nei confronti del doc italiano. Se in futuro le vere sorprese nel cinema italiano arriveranno dal documentario? Credo di sì, non dimentichiamo che un documentario ha preso il Leone a Venezia, un altro è stato premiato a Cannes. Penso anche a film come Vergine giurata, che, pur essendo di finzione, hanno molto in comune con il linguaggio del cinema del reale.

 

Per concludere, ha in cantiere nuovi progetti?

Il mio prossimo progetto si intitola Mare nostrum: il soggetto è l’odissea che devono compiere i migranti subsahariani per arrivare in Europa. Non mi interessa tanto documentare questo fenomeno, quanto raccontarlo attraverso un processo transmediale. Voglio che il pubblico viva al cinema quella che viene chiamata un’esperienza “immersiva”. La proiezione sarà un vero e proprio evento al cinema, che lo spettatore potrà vivere modo molto particolare, grazie al supporto del mobile. Per il momento non posso dire di più. Lo scopo del progetto è far comprendere all’Europa quanto sia indispensabile, necessaria l’ospitalità nei confronti dei migranti. Spero di riuscire a portare questo evento in diverse città europee nel 2016, perché quello che mi interessa è smuovere le coscienze. Questo tipo di sperimentazione è già diffusa in Europa ma non ancora in Italia. Ma una cosa è certa: sono necessari investimenti!