LA BELLA E LA BESTIA di Christophe Gans (2014)
Presentata fuori concorso a Berlino, arriva nelle sale la versione di Christophe Gans de La bella e la bestia con protagonisti Vincent Cassel e Léa Seydoux. Ci si chiede subito il perché di questa strana scelta, dato che la favola di Beaumont aveva già goduto di due splendide versioni cinematografiche, quella di Cocteau e quella animata della Disney, che non lasciavano nulla da aggiungere alla storia.
Gans non è nuovo all’argomento “ferino”: già con Il patto dei lupi aveva raccontato la vicenda, realmente accaduta, di una misteriosa bestia che fece strage di uomini nelle campagne francesi del Gévaudan. Dal regista di Silent Hill ci si sarebbe aspettata una brutale virata horror o almeno qualche elemento innovativo, se non addirittura il ritorno al rispetto filologico della materia trattata. Niente di tutto questo: le variazioni sul tema che Gans aggiunge sono totalmente campate in aria, frutto della sua fantasia e del tentativo di inserire ulteriori divagazioni magiche, che hanno come risultato solo la confusione e la complicazione dell’intreccio.
L’unico elemento di originalità, triste richiamo alla nostra contemporaneità, sta nella motivazione dei personaggi secondari: i fratelli di Belle insieme a un gruppo di briganti non si spingono al castello per dare la caccia alla Bestia, che ignorano apertamente, ma per rubare i tesori, nel tentativo di riscattarsi dal fallimento economico. Come a dire che ai tempi della crisi non è più il diverso a far paura, ma la povertà.
Al di là di questa piccola intuizione, il resto del film scorre piatto e interminabile, con buchi di sceneggiatura e salti evolutivi vertiginosi: così Belle passa dal disprezzare all’amare la Bestia senza soluzione di continuità, dal mattino alla sera. Il duetto tra i due personaggi, su cui si dovrebbe basare l’economia emozionale della narrazione, diventa vacuo e privo di spessore, tra scoppi d’ira immotivati e altrettanto improvvise esplosioni passionali.
Incommentabile tutto il complesso sottotesto ambientato nel passato, totalmente privo di logicità, che si traduce in un pre-finale fracassone, e fastidiosa la cornice meta-narrativa in cui si inserisce il racconto.
I due interpreti sono piuttosto incolori, incapaci di dare ai loro personaggi la profondità emotiva che meritano. Unica nota divertente, i piccoli beagle trasformati dal maleficio in creaturine simpatiche che però non possono competere neanche lontanamente con Tokins e Lumiére della versione Disney.
Una visione inconsistente e inutile, che fa solo venire voglia di recuperare gli illustri precedenti.
Voto: 1,5/4