LA PARANZA DEI BAMBINI di Claudio Giovannesi – La recensione
Napoli, Rione Sanità: Nicola (Francesco Di Napoli) è un quindicenne che fa parte di una baby gang con gli amici di sempre e che sogna di diventare qualcuno e uscire da una condizione di povertà con piccoli furti e reati. Dopo una rapina andata male, Nicola e la sua banda vengono avvicinati dal boss del quartiere, che li propone di lavorare per lui per riscuotere il pizzo ai commercianti locali. Ben presto però l’ambizione di Nicola e dei suoi amici non avrà limiti e spingerà i ragazzi a voler conquistare l’intero quartiere.
Presentato in anteprima mondiale al 69° Festival del Cinema di Berlino, La paranza dei bambini è il nuovo film diretto da Claudio Giovannesi, che torna a dirigere a due anni dall’apprezzatissimo Fiore. Tratto dal romanzo omonimo scritto da Roberto Saviano, il film è scritto da Giovannesi assieme allo stesso Saviano e Maurizio Braucci. Il cast è prevalentemente formato da giovanissimi attori esordienti, tra cui il protagonista Francesco Di Napoli e la giovane Viviana Aprea, entrambi alla prima esperienza sul grande schermo.
Girato quasi totalmente in dialetto napoletano, La Paranza dei bambini si identifica come un oscuro dramma criminale metropolitano e immerso in torbide atmosfere noir. Dopo i belli e riusciti Alì ha gli occhi azzurri e Fiore, Claudio Giovannesi si conferma voce sempre più interessante nel panorama cinematografico italiano, riuscendo ad azzeccare visione dei luoghi, rendendo il complesso e labirintico Rione Sanità (il quartiere dove il film è ambientato), vero e altro protagonista della vicenda, così come la capacità di filmare le facce giuste, restituendo sensazioni e umanità proprie di un mondo ben preciso.
Per messa in scena e rimandi tematici è evidente il richiamo a Gomorra (più la serie tv che il film di Garrone del 2008), ma Giovannesi crea un proprio sguardo con una regia materica, con una macchina da presa che segue e non abbandona i passi dei personaggi, tamponandoli da vicino, ma senza sfiorare la maniera. Anche la stessa immagine è precisa e coerente, con una messa in scena sempre giustamente rabbuiata e oscura, pulita ma quasi tragica.
La Paranza dei bambini si appoggia soprattutto a una scrittura di genere solidissima a un cast giusto e a uno sguardo sulle cose (luoghi, persone, elementi altri) che danno ricchezza e varietà all’opera. É chiaro che il film rappresenti da vicino il microcosmo criminale della Camorra e della criminalità organizzata, il tutto veicolato dagli occhi quasi innocenti di un gruppo di quindicenni, sospesi tra la l’ingenuità dell’ adolescenza e un mondo malato e sanguinario, dove si legano soldi, potere e violenza.
E non è tanto il racconto di ascesa effimera verso la fame di potere e ricchezza (rappresentata in un immaginario quasi kitsch e stralunato), ma una storia di cameratismo totalmente maschile (gli unici rapporti femminili del protagonista con la mamma e la fidanzata sembrano alieni a un mondo che non li permette), di amicizia rituale in cui onore e rispetto si intrecciano in una vita che considera la violenza come unica risposta all’affermazione. Senza retorica, La Paranza dei bambini è anche un film sulla perdita d’innocenza, su questo contrasto nel vedere un ragazzino di 15 anni imbracciare un’arma più grossa di lui e uccidere a sangue freddo. Un dramma cinico (e con un finale potente, bellissimo e così poco da colpo di scena) sull’impossibilità di scappare e sognare un’altra vita, che non sia un’esistenza di condanna.
Voto: 3/4