L’arte dell’adattamento: David Cronenberg (3)

Inseparabili: ossessioni e solitudine del doppio

 

Eccoci arrivati al terzo appuntamento dedicato al regista David Cronenberg e alle sue trasposizioni cinematografiche; questa volta, oggetto dell’analisi è il film Inseparabili (Dead Ringers, 1988), tratto dal romanzo Twins (1977) di Barri Wood e Jack Geasland, a sua volta ispirato ad un caso di cronaca (nel 1975 i corpi dei gemelli Steven e Cyril Marcus, noti ginecologi newyorkesi, furono trovati decomposti ed avvinghiati in un appartamento dell’Upper East Side di Manhattan: i due si erano suicidati con una dose letale di barbiturici).

 

 

In questo caso, il romanzo è solamente uno spunto grazie al quale Cronenberg riesce, ancora una volta, a mettere in scena i tratti principali della sua poetica (l’ossessione per il corpo, per il sesso, per la mutazione): la vicenda è incentrata sui gemelli Elliot e Beverly Mantle, affermati ginecologi con la passione per la sperimentazione estrema (ottengono un premio per avere inventato un nuovo tipo di divaricatore). I due condividono ogni cosa, fin da bambini, anche nella sfera sentimentale, fino a quando irrompe nella loro vita Claire Niveau, attrice sterile a causa di una rara anomalia: un utero “triforcuto”. Beverly si innamora, ricambiato, della donna, la quale però fa l’amore anche con Elliot, non sospettando l’esistenza di un gemello; scoperto l’inganno, disgustata, l’abbandona. Beverly è disperato: comincia a bere, ad assumere psicofarmaci e ad avere contrasti con il fratello. Claire, preoccupata per il suo stato di alterazione, torna da lui ma ormai è troppo tardi: l’uomo è in preda alla follia ed arriva a operare una paziente con strumenti ginecologici di sua invenzione, per donne “mutanti”. Elliot inizia a drogarsi e a seguire la rovina di Beverly, fino al tragico epilogo.

 

L’ossessione nei confronti del corpo si manifesta attraverso la professione dei due protagonisti: i gemelli, infatti, nutrono una morbosa curiosità per la fisicità femminile, sia essa quella di una donna in carne ed ossa o di una bambola di plastica, e la creazione di strumenti di chirurgia ginecologica “particolari” è finalizzata ad uno studio più approfondito e maniacale.

 

Questo viaggio alla scoperta dei misteri dell’organismo (tipica del cinema di Cronenberg:  fondamentalmente, i protagonisti dei suoi film non sono altri che lui stesso) è destinato a degenerare in una forma patologica: di fronte ad anomalie, a mutazioni, Beverly raggiunge il culmine della sua psicosi, non sopportando il disordine e creando i suoi strumenti, disegnandoli, ripensandoli, modellandoli. Emblematiche le scene in cui li sperimenta, prima durante una visita di controllo e successivamente durante un’operazione (che somiglia ad un rituale satanico, dati costumi e scenografia completamente virati sui toni del rosso). Rimproverato da Elliot, egli risponde: “Non è il ferro che non andava, era il corpo; il corpo di quella donna era completamente sbagliato!”

 

Altro tema presente nel film è quello del doppio: Elliot e Beverly Mantle sono la perfetta copia l’uno dell’altro, una duplicazione di un unico io e, per Cronenberg, non c’è nulla di più pericoloso del doppio, della riproduzione (biologica e tridimensionale, come nel caso di Inseparabili e de La Mosca, ma anche intesa nel senso bidimensionale di una duplicazione a livello d’immagine, come in Videodrome). Il titolo originale del film (Dead Ringers) reca già in sé l’idea della morte. La simbiosi è infatti destinata a finire in tragedia, e qui il discorso si complica. L’apparente “doppio” è, in realtà, un “triplo”: Elliot, Beverly e Claire Niveau formano un’autentica trinità, idea rafforzata dall’anomalia di cui soffre la donna, l’utero “triforcuto”. Ma la storia procede verso la solitudine, verso l’unicum: partita Claire, i Mantle si ritrovano rivali, pronti ad annientarsi l’un l’altro in uno scontro che si concluderà con un omicidio-suicidio.

 

In questo percorso distruttivo, Claire rappresenta metaforicamente il mezzo di separazione dei gemelli: il concetto è visivamente esemplificato nella scena in cui la donna, in un incubo di Beverly, cerca di staccare a morsi i due fratelli uniti dal cordone ombelicale (autocitazione da Brood-La covata malefica, film di Cronenberg del 1979), e in quella in cui Claire osserva uno strumento che Beverly le spiega servire a dividere i gemelli siamesi. Ma l’impossibilità di separare l’inseparabile porterà al tragico finale: Beverly, dopo avere ucciso il fratello (aprendogli il torace, in un estremo tentativo di distacco e indipendenza), si lascerà morire accanto a lui.

 

Un passaggio, quindi, da due a tre a uno. E in questo uno c’è tutta l’angoscia dell’uomo cronenberghiano, inerme simbolo del morbo, della malattia a cui tenta di opporsi e per cui prova attrazione-repulsione, in una deriva percettiva che distrugge il piano di realtà a favore di una fantasia, un’illusione più reale del reale.