LINCOLN di Steven Spielberg (2012)
«Sezione I: La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l’imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura.
Sezione II: II Congresso ha facoltà di porre in essere la legislazione opportuna per dare esecuzione a questo Articolo».
[XIII° Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America].
Ci sono registi apprezzati solo dalla critica. Ci sono registi amati solo dal pubblico. E poi c’è Steven Spielberg. Qualsiasi appassionato della settima arte, dalla casalinga di Voghera al più illuminato dei critici cinematografici, conserva nel cuore un titolo della sua variegata filmografia. Innovatore e virtuoso della tecnica fin dagli esordi nella New Hollywood degli anni ’70, Steven Spielberg, primogenito di genitori ebrei, nelle sue opere non scende mai a compromessi nel condannare con sentita partecipazione ogni forma di pregiudizio o discriminazione razziale, all’interno di una visione manichea della realtà in cui il Bene trionfa sempre sul Male. Talvolta, però, il ricorso a soluzioni enfatiche e smaccatamente sentimentali impedisce un pieno apprezzamento delle sue pellicole, che tendono a scivolare nel facile patetismo. Spielberg, nel suo capolavoro assoluto Schindler’s List, datato 1993 (anno in cui riceve il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia), rifugge qualsiasi stereotipo legato alla tragedia della Shoah e pone l’attenzione sull’alta statura morale del protagonista, senza piegare la Storia alla minima convenzione retorica. Trasposti nel contesto storico della Guerra Civile Americana (12 aprile 1861 – 9 aprile 1865), ritroviamo gli stessi pregi in Lincoln, ultima pellicola di un regista che non ha mai nascosto il proprio patriottismo.
L’idea del progetto prende vita quando Spielberg, dopo aver incontrato la scrittrice Doris Kearns Goodwim, ha la possibilità di leggere in anteprima il suo ultimo libro Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln, pubblicato nel 2005.
Sceneggiato da Tony Kushner (Munich), Lincoln copre un arco di tempo che va dal gennaio all’aprile del 1865, ricostruendo gli ultimi quattro mesi di vita di Abramo Lincoln, 16° Presidente USA, celebre per aver posto fine alla schiavitù in tutti gli Stati Uniti d’America con la ratifica del XIII° Emendamento della Costituzione pochi giorni prima della sua morte.
Lincoln, nobile lezione di storia asciutta e rigorosa, nel dipingere il ritratto di un uomo che si è caricato sulle spalle il peso della Storia, rifiuta ogni forma di pathos narrativo, puntando sul trasporto della parola, sul fascino di un eloquio tanto posato quanto incisivo nello scavare nel profondo delle nostre coscienze.
Spielberg vira il tradizionale bio-pic in chiave intimista, sovrapponendo il piano storico-politico a quello privato del presidente e concentrandosi sui volti più che sui gesti dei protagonisti, maestose figure che si stagliano nel chiaroscuro naturale degli impeccabili interni. La Guerra di Secessione è un semplice sfondo finalizzato a contestualizzare gli eventi. Le sanguinose battaglie tra i ventiquattro Stati dell’Unione con a capo Lincoln, favorevoli all’abolizione della pratica dello schiavismo, e gli undici Stati della Confederazione, capitanati da Jefferson Davis, che lottavano per preservare la schiavitù, riguardano una realtà “esterna” su cui non è posta direttamente l’attenzione.
Ad una prima parte statica e verbosa, ambientata nelle claustrofobiche stanze della Casa Bianca, segue una seconda parte di più ampio respiro nella quale, la “scena madre” dell’approvazione del XIII° Emendamento, ottenuta attraverso la complicità delle più alte personalità politiche, garantisce un sincero trasporto emotivo. La morale è che il fine giustifica i mezzi.
Figura centrale è Abramo Lincoln, uomo profondamente legato alla famiglia e presidente convinto nel sostenere una causa fondata su libertà e uguaglianza sociale («Democracy is the government of the people, by the people, for the people»). L’abolizione della schiavitù diventa una missione personale, ancor prima che lo scopo finale di un estenuante impegno politico.
Daniel Day-Lewis, già premiato con il Golden Globe e vicinissimo al terzo Oscar in carriera per la memorabile interpretazione di Abramo Lincoln, confermandosi uno dei più grandi attori viventi, si cala con sommessa partecipazione in un ruolo complesso e ricco di sfaccettature.
Tommy Lee Jones, probabile vincitore dell’Oscar come miglior attore non protagonista, è straordinario nel tratteggiare Thaddeus Stevens, leader repubblicano e membro della Camera dei Rappresentanti che appoggia Lincoln nell’abolizione della schiavitù.
Bella prova, inoltre, della due volte premio Oscar Sally Field, nominata come miglior attrice non protagonista, nei panni della sensibile moglie Mary Todd Lincoln.
L’assassinio di Lincoln al Ford’s Theatre di Washington, per mano di un simpatizzante sudista che gli sparò un colpo di pistola alla testa, non è mostrato. La morte violenta rimane fuori dallo schermo. L’ultima camminata del presidente, ripresa di spalle, e il suo corpo riverso sul letto di morte, però, sono immagini che rimangono impresse nella memoria.
Spielberg, nel raccontare una conquista umana (e non meramente politica) che si eleva a messaggio universale fuori dal tempo, in cui la Storia si piega all’altissima statura morale degli uomini che la scrivono, prende le distanze da una messinscena spettacolare, ammantando il film di un’aura maestosa e contemplativa di stampo classico, lontano da qualsiasi ipotesi di revisionismo storico.
Molte delle 12 nomination agli Oscar si tramuteranno in premi, garantito.
«Mi batterò per un’America più uguale per tutti».
[Barack Obama, 44° Presidente degli Stati Uniti d’America, nel discorso inaugurale del suo secondo mandato].
Voto: 3/4