L’ULTIMO PASTORE di Marco Bonfanti (2012)
Il progresso tecnologico è soltanto un bene per l’umanità o ha favorito l’allontanamento dell’uomo dalla natura, rendendoci in qualche modo spiritualmente più poveri? È il dubbio che sembra porci la visione di L’ultimo pastore, documentario di Marco Bonfanti nella sezione Festa mobile del Torino Film Festival. Il giovane regista, al suo primo lungometraggio, ci racconta la storia di Renato Zucchelli, l’ultimo pastore nomade metropolitano. Un uomo d’altri tempi, che ha rinunciato a una vita “normale” per dedicarsi interamente all’allevamento di pecore, spostandosi tra le vallate di montagna e la periferia milanese. Dove, giorno dopo giorno, la città continua a mutare forma e divorare spazi verdi, mentre le persone (i bambini in particolare) sembrano aver perso ogni contatto con la natura.
Il ritratto di questo personaggio, che vive sospeso tra passato e presente, è tra le più piacevoli sorprese di questo festival. Il regista intervista Renato e lo segue nel percorso di transumanza dalla montagna alla città, facendoci conoscere anche la sua numerosa famiglia (moglie e quattro figli) e il suo bizzarro “collega”/compagno di viaggio, senza dimenticare gli animali, parte integrante della vita del pastore. Tuttavia, Bonfanti non sceglie la strada della regia “invisibile” ma imprime il suo sguardo personale, costruendo il film su una precisa sceneggiatura, insistendo sui dettagli e giocando in modo intelligente con l’uso della colonna sonora.
Dapprima ci porta nel “mondo” di Renato: le montagne, mostrate in tutta la loro imponenza selvaggia e arcaica. Poi nella città, in cui l’ultimo pastore arriva come un alieno, un nomade di passaggio, un viaggiatore temporale venuto dal passato. Ma stavolta, lo scopo è portare quel mondo nel cuore della civiltà del progresso, con un evento unico e straordinario: la famiglia Zucchelli ha condotto il suo armento di settecento pecore in piazza Duomo, per incontrare un gruppo di bambini che probabilmente non aveva mai visto un gregge prima d’ora, tra l’incredulità dei passanti e lo stupore dei giornalisti. Si è realizzato così il sogno di Renato, il piccolo grande uomo che si sente un po’ il Serafino dell’omonimo film, un don Chisciotte che ci insegna a dimenticare per un attimo le nostre frenesie quotidiane, per emozionarci davanti alla bellezza delle montagne o alla nascita di un agnellino. E siamo così certi che le nostre vite siano migliori e più interessanti della sua?
Voto: 3/4