NOAH di Darren Aronofsky (2014)

Anche su Noah di Aronofski la nostra redazione si è divisa. Le recensioni, contrastanti, di Stefano Lorusso e Riccardo Tanco.

Di Stefano Lorusso

Si è ufficialmente inaugurata, nella storica cornice del Teatro Petruzzelli e con una importante anteprima internazionale, la quinta edizione del Bari International Film Festival. A sbarcare nel capoluogo pugliese è stata l’attesissima Arca del Noah di Darren Aronofsky, in uscita nelle sale italiane a partire dal 10 Aprile.

Era dalla tenera età di 13 anni che il regista di Requiem for a Dream e Il cigno nero aveva manifestato il suo amore per il personaggio biblico di Noè. La sua maestra gli aveva assegnato come compito la scrittura di una poesia sulla pace e nei versi del piccolo Darren già si era affacciata l’immagine di un patriarca proto-ambientalista che dentro la sua arca salva soltanto gli animali, unica presenza del creato realmente innocente quindi degna di sopravvivere al diluvio. Ottenuto nel 2011 dalla Paramount il via libera per la realizzazione del film, è ad una inedita dimensione interiore del personaggio Noè che Aronofsky e il suo sceneggiatore Ari Handel hanno lavorato maggiormente, vista l’estrema esiguità di particolari che caratterizza la breve narrazione biblica sui fatti del diluvio. Il Noè di Aronofsky, incarnato con solido mestiere da Russel Crowe, è infatti un uomo, prima che un profeta, lacerato da dubbi e insicurezze sul senso ultimo della sua missione. Fondamentali novità rispetto al testo biblico sono rappresentate, oltre che dal cattivo Tubal-cain (citato nella Genesi, ma in uno dei capitoli precedenti al diluvio) anche dalle presenze forti della moglie di Noè, Naameh, interpretata da una convincente Jennifer Connely, e di Ila, giovane sposa del figlio maggiore di Noè Shem. Le due cruciali figure femminili, solo abbozzate nella Bibbia, sono funzionali per introdurre nel film il nocciolo della riflessione sottesa alla trama: il rinnovato e inestinguibile principio generatore (acqua-madre-vita) proveniente da Dio, palingenesi di una umanità redenta dopo il diluvio.

E’ ancora una volta l’acqua, come nel precedente The Fountain, a collocarsi al centro dell’immaginario aronofskyano, nella sua natura duale di elemento negativo (cancellazione del peccato, annientamento di ogni forma di vita, separazione del bene dal male) e positivo (nutrimento, fecondazione e origine di un nuovo Giardino dell’Eden). E’ invece negli inserti lisergici delle visioni di Noè e in particolare nel montaggio accelerato dei giorni della creazione che Aronofsky condensa i tratti estetici più caratteristici del suo stile. Altrove, purtroppo, a predominare sono i roboanti effetti digitali, a tratti tanto ingombranti da risultare stucchevoli. In diversi passaggi lascia perplessi il gigantismo produttivo a cui è approdato un regista la cui carriera era cominciata nel segno di un film essenziale e claustrofobico, oltre che a bassissimo costo, come Pi Greco – Il teorema del delirio. Fortunatamente, sotto la spessa coltre di una mastodontica e convenzionale confezione hollywoodiana costata 130 milioni di dollari, si riescono ad individuare con chiarezza i contorni di una avvincente ed originale rilettura del testo biblico. Coerente con la filmografia del regista e destinata a riaccendere l’interesse per una della storie più affascinanti che l’umanità abbia mai raccontato.

Voto: 2,5/4

Di Riccardo Tanco

Dalla filmografia di Darren Aronofsky si può notare che il regista statunitense si trova più a suo agio con film che partono dal basso, opere intime e sostenute da una precisa idea di messa in scena e sguardo. L’ottimo esordio con Pi greco – Il teorema del delirio e lo straordinario The Wrestler, pellicola con cui vinse il Leone d’oro a Venezia confermano la tesi. Purtroppo quando Aronofsky si è lanciato in sfide produttivamente più impegnative, e quindi ambiziose, non ha dimostrato la stessa abilità. L’esempio più noto è il fallimentare (artisticamente e non) The Fountain – L’albero della vita; e quando ha cercato di mediare tra le due componenti i risultati sono stati altalenanti con film come il discreto Il cigno nero e il sopravvalutato Requiem for A Dream.

Ovviamente Noah, settima pellicola del regista, si inserisce nel solco delle produzioni titaniche, giganti hollywoodiani all’ennesima potenza. Ma la rivisitazione di uno dei più celebri miti raccolti nel Vecchio Testamento, la storia dell’Arca e di Noè e della malvagità degli uomini contro cui dovette combattere, è un insostenibile polpettone biblico senza arte nè parte, ribadendo l’incostanza di un regista che forse, il suo meglio l’ha già dato in passato.

Inutile nella riproposizione dei contenuti, senza mai trovare un punto di vista inedito sulla vicenda e sui personaggi. L’epopea di Noè è quella che conosciamo, una prova di fede estrema da parte di un uomo e della sua famiglia, e da questo incrollabile presupposto il film non si sposta di un millimetro. Aronofsky non rinnova l’immaginario del mito che racconta, restando sia concettualmente che visivamente fermo in una messa in scena da brutto film fantasy action, in linea con la Hollywood meno intelligente: creature dal design obsoleto, effetti speciali di seconda mano, e un pizzico di inspiegata magia.

Come se non bastasse (e basterebbe), Aronofsky si abbandona ai suoi peggiori vezzi registici: e allora via con montaggi associativi banalissimi, simbologia spiccia e una sequenza realizzata in time lapse che ha poco di suggestivo ma tanto di fastidioso.

Il Noè di Russel Crowe è un uomo comune chiamato a un atto d’amore fortissimo: peccato che l’attore, come tutto il cast, non è per niente convinto e paradossalmente Crowe da il meglio di sé quando il povero Noè va in crisi da delirio religioso, rendendo il film in parte divertente.

Senza ritmo e coinvolgimento, a Noah manca il respiro epico ed è solo eccessivamente lungo e prolisso, sfida ardua per la pazienza dello spettatore. Infine è veramente complicato prendere le parti di un’opera che si prende anche sul serio e ha alte ambizioni, ma che produce risultati quasi catastrofici, amplificati dall’ormai nemico pubblico numero uno, il signor 3D.

Voto: 1/4