OLTRE LE COLLINE di Cristian Mungiu (2012)
“Oltre le colline per me è soprattutto un film sull’amore e sulla libertà di coscienza: su come l’amore può trasformare i concetti di bene e male in aspetti molto relativi” cit. Cristian Mungiu. Il regista rumeno torna dopo cinque anni dal film Palma d’oro 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni e dimostra di voler ancora studiare la società e i suoi cambiamenti. I problemi quotidiani assumono un’importanza che travalica il concreto, raggiungendo inevitabilmente il trascendentale. Con questa pellicola Mungiu ha conquistato il premio alla miglior sceneggiatura alla 65ª edizione del Festival di Cannes, mentre le sue due protagoniste Cosmina Stratan e Cristina Flutur sono state omaggiate con il Prix d’interprétation féminine.
Alina (Flutur) torna dalla Germania per ritrovare la vecchia compagna di orfanotrofio Voichita (Stratan). Il rapporto che lega le due ragazze supera l’amicizia e, in un mondo ostile senza amore, ogni legame va ritrovato e rinsaldato. Purtroppo Voichita vive in un convento ortodosso e non ha nessuna intenzione di lasciare Dio. Alina è costretta a lottare per riconquistare l’oggetto del proprio desiderio, strappandolo da un luogo in cui la fede è più forte di qualsiasi sentimento.
I film di Cristian Mungiu sono delle matriosche in cui sono racchiusi molti dei problemi che hanno afflitto i paesi dell’ex blocco comunista. In 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni,oltre al tema principale dell’aborto, lo spettatore poteva chiaramente cogliere l’arretratezza di un paese dilaniato dalla dittatura o il conflitto generazionale e di classe. Anche in Oltre le colline l’ottusità della fede è solamente parte di un puzzle, composto da un ritratto della provincia sottosviluppata rumena e dalla difficile crescita di una generazione, i cui padri sono morti a causa dell’efferatezza di stato.
Che si tratti di lunghe sequenze in camera fissa, o che il regista segua i personaggi con camera a mano, Oltre le colline vanta un solido impianto narrativo che però risente dell’estrema lunghezza della pellicola. In 150 minuti la forza denunciatrice risulta eccessivamente diluita, e i continui tentennamenti della protagonista accrescono le difficoltà empatiche. Questa volta lo spettatore subirà solo in parte il pugno allo stomaco marchio di fabbrica del cineasta.
Nel complesso l’opera di Mungiu resta una buona pellicola, che perora la causa lucidamente attraverso uno sguardo cronachistico, che ben si adatta al difficile tema trattato. Nonostante i difetti, in sala sembra di percepire la stessa fresca aria di rinnovamento che, sessantotto anni fa, il Neorealismo fece circolare in una penisola martoriata e ferita. Affrontare e sconfiggere i fantasmi del passato è stata da sempre una prerogativa del cinema, fosse esso italiano o rumeno.
Voto: 2,5