PARADIES: GLAUBE (PARADISE: FAITH) di Ulrich Seidl (2012)
Secondo capitolo di una trilogia iniziata con Paradise: Love, in cui una tematica bassa come il turismo sessuale incrocia un discorso ben più elevato sulla labilità della fede religiosa, Paradise: Faith è il titolo con cui il regista Ulrich Seidl si presenta in concorso alla 69° Mostra del cinema di Venezia.
“Mio Signore, molti sono ossessionati dal sesso, liberali da questo desiderio carnale”. E’ la preghiera che la protagonista Anna Maria sussurra in apertura, prima di flagellarsi in segno di espiazione dei peccati di tutti coloro che cedono alle tentazioni del Male, lei compresa. Sì, perché nei confronti di Gesù ad una venerazione spirituale ed eterea accompagna un desiderio sessuale reso ancora più morboso da una costante repressione, che viene meno soltanto nella discussa (e discutibile) scena dell’amplesso simulato con un crocefisso.
Già vincitore al Lido del Gran premio della giuria nel 2001 per la sua opera di maggior successo di critica e di pubblico Canicola, il cineasta austriaco Seidl, da sempre amante di un cinema di taglio documentaristico, non tradisce la propria cifra stilistica nemmeno in questa sua ultima pellicola di finzione: allo stile asciutto e rigoroso perfettamente si accompagnano le geometrie studiate a tavolino delle inquadrature, racchiuse in lunghi piani-sequenza spesso a camera fissa.
Il fanatismo religioso è sottolineato da una presenza ossessiva di croci, di immagini sacre e di elementi tipici dell’iconografia cristiana nei luoghi in cui si svolge l’azione. Le buone premesse, seppur sul filo di una facile provocazione, vengono affossate da uno svolgimento incerto, in cui la materia trattata scivola spesso nel grottesco, se non addirittura nel caricaturale. Privo di un vero e proprio sviluppo narrativo, il film, dopo la prima mezz’ora, gira a vuoto, diventando stancamente ripetitivo.
Molti registi sono ossessionati dal creare un’aura di scandalo attorno ai propri film: Ulrich Seidl sembra proprio uno di questi. Amen.