PARADISE: HOPE di Ulrich Seidl (2013)
Non si fa mancare nulla l’austriaco Ulrich Seidl, regista che da anni divide la critica con il suo cinema crudo e provocatorio e il cui ultimo progetto è l’ambiziosa trilogia Paradise, incentrata sulle contraddizioni e lo squallore dei rapporti umani nel mondo contemporaneo: se il primo episodio, Love, era a Cannes 2012 e il secondo, Faith, ha “scandalizzato” l’ultima Mostra di Venezia, tocca alla 63^ edizione della Berlinale ospitare il capitolo conclusivo, Hope. C’è un sottile fil rouge narrativo che lega i tre episodi: il personaggio al centro di questo film, Melanie, è rispettivamente figlia e nipote delle protagoniste delle pellicole precedenti. Ancora un ritratto femminile, dunque: quello di una tredicenne dolce e ingenua, colta nel momento di passaggio all’età adolescenziale e ai primi turbamenti amorosi.
Spiazzando chi si aspetterebbe una rappresentazione del rapporto tra i due virata sui toni del morboso, Seidl sembra abbandonare il suo consueto modus operandi crudele ed esplicito e tratta un tema così scomodo con grande delicatezza, non senza toccare momenti di lirismo. Colpisce il personaggio di Melanie (interpretata dalla giovanissima Melanie Lenz, presenza sublime e pura), anti-Lolita così innocente e genuina in confronto alla più smaliziata amica Verena (Verena Lehbauer), eppure disarmante nei suoi timidi tentativi di seduzione. E desta sentimenti contrastanti il personaggio ambiguo e contraddittorio del dottore (l’ottimo Joseph Lorenz), costantemente in bilico tra resistenza e cedimento alla tentazione.
Il regista indugia sui corpi imperfetti dei personaggi e toglie ogni aura di bellezza al cameratismo e all’età adolescenziale (vedi la scena della fuga clandestina di Melanie e Verena); usa una certa dose di ironia, che però strappa al massimo risate a denti stretti. Quello che si prova alla visione è semmai fastidio e amarezza, senza che pure ci siano concessioni alla volgarità. Tuttavia, se l’“amore” e la “fede” mostrati nei due precedenti film erano pure contraddizioni in termini, stavolta la “speranza”, alla fine, sembra esserci davvero: un esile raggio di sole in un mondo che ha insterilito rapporti e sentimenti.
Voto: 3/4