PARLAMI DI TE di Hervé Mimran – La recensione
Una commedia dal sapore agrodolce, che gioca abilmente con le parole, facendo sorridere e persino dimenticare ciò che a tratti pare inverosimile. Parlami di te è il primo film che il regista francese Hervè Mimran dirige completamente solo, dopo la collaborazione con Geraldine Nakache (Tout ce qui Brille, Nous York).
Ispirato alla vera storia di Christian Streiss, ex amministratore delegato del gruppo Airbus e PSA Peugeot Citroën, il film ruota attorno alla vita frenetica del cinico uomo d’affari Alain Wapler (Fabrice Luchini). Colpito da un ictus, che gli provoca grande confusione mentale e difficoltà nell’espressione verbale, Alain sarà costretto a rimettersi e a rimettere tutto in discussione. A sostenerlo non solo nel suo percorso di guarigione, ma anche nella sua redenzione morale, la logopedista Jeanne (Leïla Bekhti) e la figlia Julia (la stella della Comédie-Française Rebecca Marder).
La sfida, per un umorista come Luchini, abituato a recitare poesie di Baudelaire sul palco dei principali teatri francesi, consiste ora nel cimentarsi con l’afasia. Una sfida condotta in modo superbo. Luchini ci trasporta nella quotidianità di un uomo che da un momento all’altro è costretto a ricostruire, oltre che la carriera lavorativa, persino le coordinate del proprio spazio abitativo. Il protagonista appare confuso ma serissimo nel pronunciare parole “al contrario”, il che commuove e diverte allo stesso tempo, nonostante molto nel film manchi di credibilità. Troppo edulcorata è la redenzione di Alain, poco approfondito il personaggio di Jeanne, l’ortofonista “psycopathe” alla ricerca della propria madre biologica. L’amore del regista per i personaggi secondari spicca nelle scene dedicate alla bizzarra cuoca di casa (Clemence Massart) e nei teneri flirt tra Jeanne e l’infermiere (Igor Gotesman). Superfluo invece e poco credibile l’apporto dell’autista, prototipo del dipendente leale, che arriva a farsi licenziare pur di restare accanto ad Alain.
Sicuramente caro a Mimran è inoltre il rapporto conflittuale tra padre e figlia, che il regista colora con una bella selezione musicale, da Papaoutai, hit francese del 2013 (scelta non casuale se si pensa che il titolo della canzone viene proprio da Papa où t’es? ovvero “Papà dove sei?”) a Don’t think twice, it’s alright di Bob Dylan. Calzante ma abbastanza scontata è invece la scelta di Father and son di Cat Stevens, che accompagna il padre nel cammino verso Santiago di Compostela, prima del ricongiungimento con Julia.
Parlami di te si rivela, in conclusione, un film senza grandi pretese, che sa di già visto. Nel dare spazio e dignità ai comprimari, inoltre, delinea senza mai veramente approfondire. Ciononostante, la pellicola lascia il segno, anche solo per la performance di Luchini, che vale le quasi due ore di film. Commovente, ironica, umana. Tanto è vero che le parole, corrette o sbagliate, alla fine non servono più: capiamo comunque.
Da guardare se possibile in lingua originale.
Voto: 2,5/4
Marialuisa Miraglia