READY PLAYER ONE di Steven Spielberg (2018)

Ready Player One

2045: la maggior parte degli abitanti della Terra vivono in condizioni precarie e la loro quotidianità si interfaccia con un’unica consolazione, OASIS. Un mondo virtuale alla portata di tutti e ispirato alla cultura pop degli anni ’80, creato dal genio miliardario James Donovan Halliday (Mark Rylance). Quando quest’ultimo verrà a mancare, lancerà una sfida a tutti i partecipanti del gioco: recuperare un easter egg appositamente inserito per poter aggiudicarsi la sua eredità e il controllo del gioco. Uscito in sala dopo The Post (ma realizzato precedentemente) Ready Player One aggiunge un nuovo tassello al filone inaugurato da Steven Spielberg con Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno (2011) e Il GGG – Il Grande Gigante Gentile (2016): motion capture e CGI sono al servizio di un’avventura per ragazzi che, questa volta, abbandona i panni fumettistici o fiabeschi per tuffarsi nel vortice (mai così tumultuoso) della realtà virtuale.

Basato sull’omonimo romanzo di Ernest Cline, anche co-autore della sceneggiatura, il film è un puro divertissement del regista che traccia una vicenda lineare (è facile, fin dai primi minuti, indovinare il finale), poggiando le proprie fondamenta su un citazionismo sfrenato che attinge a mani basse dall’ormai saccheggiatissimo immaginario degli anni ’80 e della cultura pop.

Il potenziale è alto, ma è un peccato che, nonostante i mezzi a disposizione, Spielberg non spinga sull’acceleratore, e il film, a lungo andare, ne risente. Qualche sequenza notevole (la gara automobilistica e la scena dedicata a Shining su tutti) ma poco altro: e se lo sviluppo narrativo ambientato all’interno di Oasis regge, caratterizzato da un buon ritmo e da rimandi che faranno felici la maggior parte dei nostalgici, lo stesso non si può dire per le sequenze ambientate nel mondo reale: a personaggi privi di nerbo e poco caratterizzati, si aggiungono vuoti e incongruenze all’interno della trama e un cast generalmente sottotono, guidato da un Mark Rylance nerd/demiurgo che non convince fino in fondo.

Un lungometraggio che probabilmente arriva in ritardo di qualche anno, ma che si scrolla di dosso l’onere di imporre un ragionamento profondo sull’opposizione tra realtà e finzione: meglio così, sarebbe stato un’argomentazione stantia, sui cui non rimane molto da dire (e il film non aggiunge di certo qualcosa, anzi). La riflessione è, piuttosto, un’altra: in un momento cinematografico in cui ci si rifà sempre di più alle pellicole (grandi e meno grandi) del passato e, sempre più raramente, si riesce a intravedere una spinta innovativa che riesca, per sopravvivere, a prescindere dal passato, Spielberg ci dice, canzonatorio, quanto sarebbe bello poter riavvolgere il nastro e tornare indietro. Ed è qui che emerge la volontà di un regista 71enne, forse un po’ nostalgico, forse un po’ Peter Pan, di dedicarsi a un semplice gioco, svincolandosi da un significato da ricercare forzatamente: a dispetto di tutti gli enigmi, prove, passi avanti o passi indietro, è inutile arrovellarsi per scovare il senso di Oasis/Ready Player One, prodotto che non vuole farsi portavoce di nulla ma, semplicemente, punta a divertire il suo creatore (Halliday/Spielberg) e chi prende parte al suo spettacolo.

E, di sicuro, non ci sentiamo di condannarlo.

Voto: 2/4

Alessio Spinelli