SHADOW DANCER di James Marsh (2012)

L’Irlanda sembra essere tra le protagoniste di questa trentesima edizione del Torino Film Festival. Oltre alla presenza di Citadel e What Richard Did, prodotti in Eire, l’Ulster e la sua controversa storia fanno da sfondo a ben due pellicole, che non potrebbero essere più diverse tra loro: il divertente e godibilissimo Good Vibrations e questo Shadow Dancer, teso thriller alla visione del quale c’è molto meno da ridere.

Da anni, sia la cinematografia delle isole britanniche che quella americana si interessano al conflitto politico che per decenni ha insanguinato l’Irlanda del Nord (pensiamo, solo per are alcuni esempi, a film come Nel nome del padre, L’ombra del diavolo o il recente Hunger). James Marsh, più noto come documentarista che come regista di fiction (suo il premiatissimo Man on Wire), ci porta nella Belfast del 1993, stretta tra il lento e difficile processo che porterà alla pace e le ultime lotte degli irriducibili dell’Ira.

Shadow Dancer è una storia di tradimenti e doppi giochi, ma il suo aspetto più interessante consiste nel fatto che il tutto venga raccontato da un punto di vista femminile, quello della protagonista Collette. Interpretata da un’intensa e convincente Andrea Riseborough, la donna, che ha alle spalle  il trauma di un fratellino ucciso, fa parte di una famiglia affiliata all’Ira: arrestata a Londra, viene convinta da un agente dei servizi segreti inglesi (Clive Owen) a diventare un informatore. Pur di non perdere la libertà e soprattutto la custodia del figlioletto, Collette si troverà così a tradire la sua causa e a mentire ai suoi stessi familiari, rischiando in ogni momento di essere scoperta e uccisa dall’Ira e diventando nello stesso tempo una pedina manovrata dagli inglesi.

Più che parlare del contesto irlandese, ciò che interessa veramente al regista è raccontare il conflitto interiore del personaggio e le dinamiche all’interno della famiglia, sebbene la ricostruzione storica abbia la sua importanza (decisamente suggestiva la sequenza del funerale). Nonostante ciò, il film può dirsi solo in parte riuscito, in quanto la regia di Marsh non riesce mai a coinvolgere ed emozionare fino in fondo lo spettatore.

Anche la scelta del cast non è priva di difetti: se della performance positiva della Riseborough si è già detto, Clive Owen offre dal canto suo una prestazione decisamente imbalsamata e poco adatta al ruolo; i nostalgici di X-Files, d’altra parte, ritroveranno con gioia Gillian Anderson, attrice inglese nota soprattutto per il ruolo dell’agente Scully nella storica serie.

Tutt’altro discorso va fatto per quanto riguarda il finale: senza spoilerare, possiamo solo dire che il regista non poteva trovare conclusione migliore. Perché, alla fine, il sangue non è acqua, e torna sempre a riscuotere i propri debiti.

Voto: 2/4