Il gatto Resnais, il Trans-Anubi-Express e la Grand-Mère

l annee derniere a marienbad“In questo albergo immenso, lussuoso, barocco, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi, silenziosi, deserti, gelidamente decorati da intarsi in legno… In sale silenziose in cui i passi di colui che le attraversa sono assorbiti da tappeti così pesanti, così spessi, che nessun rumore di passi arriva alle sue orecchie. Come se persino le orecchie di chi cammina, ancora una volta, lungo questi corridoi, attraverso questi saloni, queste gallerie, in questo palazzo d’altri tempi, in questo albergo immenso, lussuoso, lugubre. Dove corridoi senza fine succedono ad altri corridoi…” (Alain Robbe-Grillet)

Le architetture del Valhalla dei Registi si basano su regole che noi comuni mortali non passiamo capire: infinite sono le entrate. Ad attenderti possono esserci gli immaginifici elefanti alle porte di Babilonia, come uno stilizzato Ponte dei Sospiri di cartapesta, forgiato solamente per accompagnare ai Piombi un Donald Sutherland incanutito e febbricitante. Resta il fatto che, qualche giorno fa, in un fumigante vapore da sudario, ad una di queste entrate comparve un treno che gli antichi chiamano Trans-Anubi-Express: pare che, oggi, i fuochisti siano Jean-Luis Trintingnat ed Alain Robbe Grillet (che, va detto, ha il vizio di fustigare le belle passeggere). Ma ecco che, in uno stridio di freni- e di attuti gridolini orgasmici, il Trans-Anubi-Express, si blocca: giusto per far scendere, con l’elastica, eterea, grazia degna di Nijinski (prima della pazzia), un bel gattone nero.

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BERLINALE 2014 – GIORNO 5

Aimer  boire et chanterProcede piuttosto fiaccamente, questa 64° Berlinale. Con l’eccezione di The Grand Budapest Hotel e il toccante Kreuzweg (Stations of the Cross) non si registrano picchi emozionali significativi dalle parti di Potsdamer Platz. Il ritorno dell’ultranovantenne Alain Resnais non entusiasma, ma nemmeno disturba, mentre annoia il primo dei due film cinesi in concorso. L’umorismo nero e un po’ criptico del norvegese In order of Disappearance regala invece qualche risata amarognola, ma nessun palpito cinefilo.

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