Venezia 2019: LA MAFIA NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA – La recensione

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Palermo, 2017. È il venticinquesimo anniversario della strage di Capaci e di via D’Amelio, in cui hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Che significato ha avuto quel sacrificio 25 anni dopo? Come viene percepito dalla città? Dopo Belluscone. Una storia siciliana (2014), Franco Maresco torna dietro alla macchina da presa e realizza un documentario sulla sua Sicilia, ambientato a Palermo, per la precisione. E non in un’occasione qualunque: è il 25′ anniversario della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, un evento che sembra sia stato dimenticato, o meglio, di cui nessuno vuol parlare. Nessuno: l’Odissea a simbolo di omertà e silenzio, assordante nella sia rappresentazione.

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BELLUSCONE. UNA STORIA SICILIANA di Franco Maresco (2014)

Sono passati solo pochi giorni dalla prima proiezione veneziana del Belluscone di Franco Maresco, in concorso nella sezione Orizzonti, e già sembra che la dimensione di questo film si sia nuovamente dilatata nell’extrafilmico, suo luogo primigenio di appartenenza. Un senatore berlusconiano ha minacciato di ricorrere alla giustizia per ottenere il sequestro del film, salvo retrocedere dopo poche ore su posizioni di magnanima non belligeranza. Riportando il tutto, ancora una volta, al rango di farsa e regalando al film un altro, imprevisto sottofinale. Molti anni di ricerche sul campo sono serviti a Franco Maresco per (non) terminare il suo progetto. Quella che era iniziata come indagine sociologica sul fenomeno berlusconiano in Sicilia ha rischiato di trasformarsi in una trappola fatale per la sua carriera di cineasta. Di una siderale nube cosmica di materiale filmato, smarrito, archiviato, rimosso o solo sognato il film costituisce il densissimo precipitato. E tuttavia il prima e il dopo, tutto l’amplissimo perimetro cronologico che circonda i 95 minuti montati nel corpo del film, continua a pesare sulla sua stesura definitiva, corrodendola ai margini, immergendo in una indistinta sospensione gelatinosa lo statuto di verità di ogni suo fotogramma, e condannandola a non poter mai essere terminata davvero.

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