MAD MAX: FURY ROAD di George Miller (2015)
Sul nuovo capitolo della saga post apocalittica di George Miller vi proponiamo non una, ma ben due recensioni, con giudizi molto differenti.
Per me è sì
Scritto da Giuseppe Paternò di Raddusa
Post-apocalisse non è sempre distopia. Mad Max: Fury Road non è Interceptor (1979), né gli altri due film della saga diretta dall’australiano George Miller, Il guerriero della strada (1981) e Mad Max – Oltre la sfera del tuono (1983). Ai tre film di Miller, cui viene riconosciuto – e meritatamente – lo statuto di cult, bisogna volgere lo sguardo con affetto e gratitudine. Poiché, oltre a lanciare il talento di Mel Gibson, sono figli di uno iato temporale – quello tra la fine dei Settanta e il culmine degli Ottanta – che avrebbe costituito uno degli avvii più significativi a un’epoca culturale ed estetica esplosiva, per il mondo anglofono e non solo.
Mad Max: Fury Road, però, è altro. Miller disbosca l’immaginario dei primi tre film, prende di peso il suo personaggio e lo assoggetta a un mondo che non esiste, a un’Australia che sopravvive solo negli accenti di alcuni personaggi, a un pianeta dove l’umanità si è praticamente ridotta a pochi esemplari, dove la tirannia si misura a colpi di fascismo e bruttezza fisica, e dove a comandare è Immortan Joe (Hugh Keays-Barne, già villain indimenticabile di Interceptor), sposato a tante bellissime donne diverse destinate a garantirgli una prole antropomorfa.