MARAVIGLIOSO BOCCACCIO di Paolo e Vittorio Taviani (2015)
Quando, nel 1971, Pasolini gira il suo geometrico e polarizzato Decameron, restituisce la vibrante tensione di un momento storico ritenuto significativo dal punto di vista socio-antropologico. Il risultato? Una re-invenzione straordinaria, un omaggio evocativo e libero in cui il simbolismo diventa carnale e universale.
Quando, nel 2015, i fratelli Taviani si avvicinano al capolavoro di Boccaccio, l’intenzione – onorabile, santa e legittima – è quella di laudare l’emozione giovanile che, innanzi alle epidemie più oscurantiste, ieri come oggi, reagisce con fervore, fantasia e creatività. La peste nella Firenze del 1348, nella visione dei Taviani, equivale all’humus calcificato che paralizza gli animi di una contemporaneità spesso ingiusta e castrante.
Una visione, benché lodevole, decisamente claudicante: il Maraviglioso Boccaccio dei Taviani, nonostante le ambizioni civili, ha evidenti problemi nella struttura, nello sviluppo e nella contestualizzazione del suo racconto.