LA BUCA di Daniele Ciprì (2014)

Dopo l’esordio da solista di E’ stato il figlio, Daniele Ciprì torna con una commedia purissima, La buca, ispirandosi a quella nostrana degli anni sessanta (Mario Monicelli, Dino Risi) e a quella americana (Lubitsch, Capra, Billy Wilder e Blake Edwards). Il film è la storia di una involontaria amicizia tra Oscar (Sergio Castellitto), avvocato fallito e senza scrupoli, e Armando (Rocco Papaleo), ex detenuto che ha scontato venticinque anni di carcere per un reato non commesso, mantenendo, nonostante la profonda ingiustizia subita, una bontà d’animo impeccabile.

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JOE di David Gordon Green (2013)

“Fuck to this day.”

Arriva in sala, un anno dopo la presentazione a Venezia 70 e il passaggio al Toronto Film Festival, Joe di David Gordon Green, tratto dall’omonimo romanzo del 1991 di Larry Brown. Star della pellicola, Nicolas Cage, atteso al varco dopo una serie di interpretazioni non propriamente riuscite. E il risultato, sorprendentemente, non delude, anzi.

Joe Ransom è un solitario ex galeotto. La sua squallida quotidianità è composta da lavoro, saltuari appuntamenti con prostitute e con il solito bar, televisione, tempo dedicato al suo adorato bulldog, fino a quando questa personalissima ritualità è messa in crisi dall’incontro con Gary (Tye Sheridan), quindicenne provato da una vita difficile a causa di un padre alcolizzato, una madre succube e una sorella muta e problematica. Tra i due nasce un legame profondo e Joe diventa una sorta di padre putativo per il ragazzino: il rapporto causerà però una serie di drammatiche conseguenze.

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LA GELOSIA di Philippe Garrel (2013)

locandina-La-gelosiaArriva in sala, dopo la presentazione al Festival di Venezia 2013, il francese Philippe Garrel con il suo La gelosia: protagonisti, il figlio Louis, ormai una costante nella filmografia paterna, e un’ottima Anna Mouglalis. Louis, trentenne in crisi con la compagna Charlotte, da cui ha avuto una figlia, inizia una relazione con una attrice ormai decaduta. L’iniziale coinvolgimento da parte di entrambi lascia ben presto spazio alla noia e all’inquietudine, facendo naufragare il rapporto. Dopo aver tentato il suicidio, forse Louis sarà in grado di ricominciare a vivere.

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LE MERAVIGLIE di Alice Rohrwacher (2014)

locandina-le-meraviglieAccolto da dodici fantomatici minuti di applausi alla proiezione ufficiale di Cannes ma disprezzato dalla stampa francese, che lo ha relegato all’ultimo posto nella classifica che somma tutti i voti assegnati dalle testate d’oltralpe, Le Meraviglie  di Alice Rohrwacher era atteso con una certa curiosità sulla Croisette. L’opera precedente della regista toscana, infatti, era quel Corpo Celeste che, nel 2011, pur con una certa programmatica ridondanza, aveva lasciato intravedere i frutti, ancorché acerbi, di un possibile giovane talento autoriale made in Italy. Un esordio che dimostrava una discreta forza visiva, dove forma e contenuto dialogavano con sicurezza, e che, nonostante qualche simbolismo di troppo, denotava  un innegabile coraggio registico da parte della minore delle due sorelle Rohrwacher. Un coraggio totalmente assente in questa sua seconda prova, che sancisce, purtroppo, un decisivo passo indietro nella breve carriera della regista.

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GRACE DI MONACO di Olivier Dahan (2014)

locandina-GraceDiciamolo subito, a scanso di equivoci, facendo finta che non lo sapessimo già: Grace di Monaco, proiezione d’apertura all’edizione numero 67 del Festival di Cannes, è un film in larga parte prevedibile, assolutamente manierato nelle sue pose glamour, né più né meno di ciò che ci si potrebbe aspettare da un’operazione del genere. Confezione impeccabile, paillettata ma senza stonare con l’eccesso di lustrini. Sorretta, si fa per dire, da una raffinatezza di sola facciata, che può contare solo sui molteplici tentativi di abbagliare lo spettatori con svolazzi vari, non tutti a dire il vero perfettamente a segno. Un prodotto del quale non si fatica più di tanto ad immaginare le coordinate base, sommando i fattori e facendo due più due. Il problema, in casi come questi, sta nel manico di chi si dedica a un racconto con tali caratteristiche, basato su personaggi d’alto lignaggio e sulle loro questioni più private che pubbliche. Molto spesso si predilige un approccio didattico e superficiale, relativo più alla vulgata comunemente diffusa intorno all’icona di turno che ad un reale approfondimento psicologico e, di riflesso, storico, perfino (magari!) storico-politico. Perché le due tipologie di focus, checchè se ne dica o se ne voglia credere, vanno molto spesso a braccetto, con messe a fuoco di carattere naturalmente differente ma il più delle volte complementare.

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GODZILLA di Gareth Edwards (2014)

locandina-GodzillaAnticipato da una campagna pubblicitaria virale tanto invasiva quanto efficace e atteso spasmodicamente dai fan del vecchio Gojira giapponese rimasti delusi dal remake firmato da Roland Emmerich nel 1998, ecco arrivare nelle sale di tutto il mondo Godzilla, reboot nato dall’unione delle forze della Warner Bros e della Legendary Pictures. Per sfondare il botteghino americano e asiatico, le due case di produzione si sono affidate, oltre alla macchina dell’hype e ai 160 milioni di dollari di budget, a Gareth Edwards, giovane regista britannico autore di un unico film, Monsters (2010), disaster movie “intellettuale” francamente ignorabile ma con qualche estimatore sparso qua e là in America e in Europa.

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LOVELACE di Rob Epstein e Jeffrey Friedman (2013)

locandina-lovelacePresentato in anteprima al Festival di Berlino 2013 Lovelace, diretto da Rob Epstein e Jeffrey Friedman, racconta la vita di Linda Lovelace (al secolo Linda Susan Boreman, interpretata da Amanda Seyfried), star del celeberrimo Gola Profonda (film che rivoluzionò il panorama cinematografico mondiale) dalla quotidianità in una famiglia di stampo religioso, all’incursione nel porno dopo l’incontro con il futuro marito Chuck Traynor (Peter Sarsgaard), alla redenzione con conseguente abbandono di un mondo sporco e perverso descritto nel libro Ordeal (1980), in cui la Lovelace denuncia le violenze subite da Traynor, il quale la costrinse a girare pellicole a luci rosse tra botte e minacce.

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LOCKE di Steven Knight (2013)

locandina-Locke“Bisogna essere forti, non conta cosa pensano gli altri. Guarda e impara.”

Non è sempre necessario ricorrere a temi sensazionalistici o scabrosi (ormai usurati) per scuotere e far riflettere. Lo dimostra Steven Knight, già sceneggiatore per Stephen Frears (Piccoli affari sporchi), Michael Apted (Amazing Grace) e David Cronenberg (La promessa dell’assassino), con Locke, presentato fuori concorso allo scorso Festival di Venezia; protagonista assoluto, un Tom Hardy in stato di grazia, attore ormai affermato e ampiamente apprezzato da critica e pubblico in uno dei suoi ruoli più impegnativi e riusciti.

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NEED FOR SPEED di Scott Waugh (2014)

locandina-need-for-speedTobey Marshall (Aaron Paul) è un meccanico che gestisce l’officina di famiglia e partecipa alle corse clandestine d’auto. Quando viene incastrato per un crimine che non ha commesso, è costretto a due anni di prigione: al suo ritorno, il suo unico obiettivo è la vendetta contro chi l’ha imbrogliato. Associando motori ed alta velocità nel cinema moderno, la mente non può che andare alla saga di Fast & Furious. Ma Need for Speed, primo film tratto dalla celebre serie di videogiochi della Electronic Arts, possiede una propria indipendenza dai film con Vin Diesel.

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LO SGUARDO DI SATANA – CARRIE di Kimberly Peirce (2013)

locandina-carrie“Quasi nessuno scopre mai che le sue azioni feriscono davvero gli altri. La gente non migliora, diventa solo più furba. Quando diventi più furbo, non smetti di strappare le ali alle mosche, cerchi solo di trovare dei motivi migliori per farlo.” (Stephen King, Carrie)

La povertà di idee a cui le superproduzioni made in U.S.A. ci hanno tristemente abituati si accanisce contro il bistrattato genere horror. Veicolo supremo di questo scempio, la pratica del remake: da Freddy Krueger a Jason Vorhees, passando per Leatherface e arrivando ai demoni sumeri di Sam Raimi, le icone del terrore sono state sistematicamente e programmaticamente fatte a pezzi e snaturate da registi inetti, sferrando duri colpi ad un tipo di cinema da tempo sull’orlo del baratro (nonostante alcune eccezioni). Ed ecco arrivare Lo sguardo di Satana – Carrie, rifacimento del film di Brian De Palma (1976) basato sul romanzo di Stephen King.

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IL GRANDE MATCH di Peter Segal (2013)

locandina-il-grande-match“Tutto il mondo ride di noi ma non siamo morti, questa storia mi fa sentire più vivo che mai!”

Anziani che spopolano in sala.

In attesa di Last Vegas, presentato al 31TFF (data di uscita prevista, 23 gennaio), arriva Il grande match, incontro-scontro tra pesi massimi del cinema americano del calibro di Sylvester Stallone e Robert De Niro nei panni di due ex pugili ormai sul viale del tramonto che hanno l’occasione di sanare l’eterna rivalità trent’anni dopo il loro ritiro. Henry “Razor” Sharp (Stallone) è in difficoltà economiche, senza lavoro e con i conti da pagare; Billy “The Kid” McDonnen (De Niro), proprietario di un ristorante, pretende la rivincita che Sharp non gli ha mai concesso. Tra senso di inadeguatezza, (in)coscienza dei propri limiti, figli ritrovati e vecchi amori che ritornano, si consumerà l’ultima sfida.

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