VENEZIA 2018: SHADOW – La recensione
Cina, II/III secolo: in un clima politico vessato da tensioni e guerre intestine, i sovrani si servono di sosia chiamati “ombre” disposti a sacrificare la propria vita per salvare quella del loro re.
Cina, II/III secolo: in un clima politico vessato da tensioni e guerre intestine, i sovrani si servono di sosia chiamati “ombre” disposti a sacrificare la propria vita per salvare quella del loro re.
“Era in prigione da tre anni, Shadow. E siccome era abbastanza grande e grosso e aveva sufficientemente l’aria di uno da cui è meglio stare alla larga, il suo problema era più che altro come ammazzare il tempo. Perciò faceva ginnastica per tenersi in forma, imparava giochi di prestigio con le monete e pensava un sacco a sua moglie e a quanto l’amava.”
Inizia così American Gods, indelebile opera data alla luce da Neil Gaiman nel 2001 e diventata ora una serie tv. Premesso che la difficoltà nel rappresentare visivamente le pagine di un genio come Gaiman sono già state evidenziate da opere non all’altezza come Stardust e Lucifer – con la sola eccezione del bellissimo Coraline – è altrettanto vero che, almeno da quanto si è potuto vedere nel pilot, la strada intrapresa possa essere quella giusta. A partire da titoli di testa affascinanti e simbolici, che riassumono il tema principale dell’opera: il contrasto tra divinità classiche e ciò che oggi è divenuto divinità, soppiantando la Fede con denaro, droga, gioco d’azzardo e avidità, arrivando a mettere anche un astronauta sul crocifisso, visto che anche l’allunaggio per molti non è mai accaduto, rendendo anch’esso, di fatto, un atto di fede. Believe. Questo dice il bufalo con occhi di fuoco all’incredulo Shadow, incontrandolo in quello che apparentemente sembrerebbe un sogno ma che per l’ignaro ex carcerato sarà solo l’inizio di una realtà incredibile.