The Batman di Matt Reeves, la recensione

Che qualunque cosa Matt Reeves tocchi diventi magicamente oro, non è certo chissà quale rivelazione: che sia la controversa rielaborazione del kaijū eiga, il fantasmatico rifacimento di un caposaldo dell’horror moderno come Lasciami entrare o la rivisitazione solenne, ieratica e meditabonda dell’al tempo logoro e strematissimo franchise del Pianeta delle Scimmie, il nostro ha saputo infondere alla sua proteiforme e sorprendente opera – con lo sguardo di chi del cinema conosce perfettamente i tempi, il linguaggio, le sfumature e i meccanismi più segreti – nuova linfa, profondità, emozione e un crepuscolare afflato fordiano (specialmente nel capitolo conclusivo della saga delle Scimmie) che lasciava presagire solo il meglio per questo tanto agognato e più volte posticipato – causa Covid e altre amenità – reboot dell’Uomo Pipistrello: materiale che, sia detto, dopo la grandiosa trilogia dell’altalenante Nolan e la nefanda parentesi snyderiana con Ben Affleck sulla quale è meglio sorvolare (pur con la bella eccezione di quell’anomalo e statuario oggetto filmico che è Zack Snyder’s Justice League), era, se non difficile rinverdire, quantomeno di complicata maneggiabilità.
Attese ampiamente ripagate: The Batman non è soltanto un notturno, ambiguo e febbricitante capolavoro tout court di raro pessimismo e oscura, criptica eleganza, ma anche una sottile e dolente reinvenzione di un mito archetipico e il più audace e complesso film di Batman mai fatto insieme al giustamente celebratissimo secondo tassello dell’umbratile epopea nolaniana Il cavaliere oscuro (sicuramente più iconico, se non altro per il monumentale Joker di Heath Ledger, ma non per questo necessariamente superiore o graniticamente inscalfibile).
Questo film, che è una fluviale catabasi epica nel mondo del crimine dalle tinte lugubri e dalle ombre espressioniste ma anche un’intima e dolorosissima seduta di psicoanalisi fra individui (molto) feriti e disturbati, pare preso di forza dal meglio di quel ruvido e stupendo periodo d’oro del cinema americano che fu la New Hollywood (dunque Una squillo per l’ispettore Klute, Il braccio violento della legge, Taxi Driver, I guerrieri della notte, Il padrino e infiniti altri) e poi miracolosamente fuso con le atmosfere horror e la vena macabra e investigativa di capolavori noir e thriller cult della contemporaneità come Seven, The Game, Zodiac, Memorie di un assassino, Oldboy: con un killer psicopatico assetato di indovinelli (uno straziante, febbrile e psichicamente dissestato Paul Dano, perfettamente calato nell’alienazione tossica della nostra quotidianità) che scoperchia il cumulo di letame putrescente che cova fra gli angoli delle strade e nelle alcove più o meno sospettabili del crimine (l’autentica novità è che stavolta, a conferma dell’anima fosca della visione reevesiana, non si salva davvero nessuno: nemmeno quelle poche figure solitamente riconducibili, pur faticosamente, alla sfera del bene) scardinando la sicurezza pubblica e le già labili certezze di un mai così sofferto e destabilizzato Bruce Wayne/Batman, fiancheggiato quasi fortuitamente dalla felina Catwoman/Selina Kyle cui dona l’acqua della vita la splendida, fragile ma combattiva Zoë Kravitz: i quali, forse, fra un bacio sussurrato e un’acrobazia spericolata bagnati dal tramonto vermiglio di Gotham City, si ritroveranno indissolubilmente complici e legati nell’oscurità, diversi e (poco) contenti, prendendosi cura l’uno dell’altro.
Robert Pattinson è semplicemente e indiscutibilmente perfetto e senza alcun dubbio il miglior Batman a memoria di cinefilo: cupo, rabbioso, nevrotico, disilluso, inquieto, slavato, distaccato, sfuggente, selvaggio, macilento, malsanamente tormentato e nervosamente muscolare, è uno stupefacente Caped Crusader caracollante, fallibile e perfettibile nonché (cosa che spesso latitava nei più o meno blasonati colleghi, anche nel caso del bravissimo ma intrinsecamente tetragono Christian Bale) un’ottima controparte in abito e cravatta: un attore visceralmente predisposto a trasfigurare le tante complessità di un personaggio leggendario, capace di restituirci uno spettro di emozioni così straordinariamente vaste, dense e contraddittorie da suscitare un genuino senso di commozione e ammirazione reverente, e a cui fa da contraltare un magnifico cast di comprimari illustri – da Jeffrey Wright all’irriconoscibile se non annullato Colin Farrell; dall’immenso John Turturro al sempre notevolissimo e toccante Andy Serkis – che più bravi, senzienti e indovinati non si può.
È un meraviglioso racconto di fantasmi, questo nuovo Batman, di demoni e spettri interiori. Di destini segnati e di percorsi obliqui che s’incrociano e s’intrecciano quasi per caso nello squallore della metropoli in un mare di angosce, paure e corruzione tentacolare e dilagante: di anime perdute che si coalizzano nel disagio e nella disperazione più nera alla ricerca di uno spiraglio di luce futura per una città decaduta e per gli esseri umani che la popolano: ma anche per scovarlo, soprattutto e se ancora possibile, dentro sé stessi.
Ecco che cos’è The Batman: un grande film sul ritrovamento di sé stessi, anche a costo di abbandonare momentaneamente ciò che vorremmo e di rinunciare alle menzogne che costruiamo quotidianamente per sopravvivere.
Bellissimo.
Voto: 4/4