THE FATHER di Florian Zeller – La recensione

The Father' Review: A Capricious Mind - The New York Times

Monumentale! Anthony Hopkins in The Father – nulla è come sembra, primo e unico film del regista, drammaturgo e scrittore francese Florian Zeller, offre una prova attoriale fuori da qualsiasi aspettativa. Certo nessuno si sarebbe potuto mai immaginare una interpretazione discreta da parte di Sir Hopkins, ma quello che ci regala questa volta è letteralmente da brividi.

Il film, presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2020, ha subito dei ritardi circa la distribuzione a seguito della pandemia Covid-19, ed è arrivato nelle sale italiane il 20 maggio 2021 in lingua originale e il 27 dello stesso mese in italiano. Tra le infinite nomination ai premi dei più prestigiosi festival mondiali, vanta due premi Oscar: Miglior sceneggiatura non originale, infatti il film è un adattamento della pièce teatrale scritta dallo stesso Zeller e Miglior attore protagonista a Anthony Hopkins.

C’è sempre stata un po’ di diffidenza nelle trasposizioni cinematografiche di opere teatrali, questo perché, il più delle volte, si vuole che il cinema sia cinema e non teatro filmato. Questo, però, non solo è cinema, è grande cinema. Il viaggio in cui lo spettatore viene trasportato, un viaggio buio, sofferto, ricco di realtà distorte, confuse, fittizie, ti fa davvero stare incollato allo schermo. Tutto è una sorpresa continua che accompagna di pari passo la disgregazione della mente di Anthony (Hopkins).

Zeller, magistralmente, fa in modo che mentre il personaggio si sfalda, si sgretola e scompone, lo spettatore fa l’esatto percorso inverso ricomponendo un puzzle nella propria mente. Questa odissea nello spazio della mente di Sir Hopkins, si presenta come un dramma da camera elegante ambientato ai giorni nostri nella Londra borghese. Qui tra le mura di una casa che Anthony prima pensa esser sua, un attimo dopo non più e poi di nuovo sua, si svolge il dramma intenso di un uomo affetto da Alzheimer e dell’amore incondizionato che riceve dalla figlia Anne.

Olivia Colman, che interpreta la figlia di Anthony, nonostante ci si sia soffermati poco a parlare di lei, svolge il suo ruolo con una delicatezza, un tatto, una perfezione capaci di toccarti l’anima esattamente come fa Sir Hopkins, solo in modo diverso. Un misto di dolore, premura, delicatezza e rassegnazione.

Anthony nonostante l’avanzamento della malattia, mostra diversi momenti di lucidità, quasi subito però sovrastati da attimi di confusione e disorientamento, ed è proprio qui che tutti gli spettatori proveranno quell’empatia che solo il cinema e i grandi interpreti sono in grado di regalarti. Spiazzanti sono i momenti in cui Hopkins riesce a mostrare un’intelligenza ancora brillante, per poi passare ad uno stato di smarrimento e subito dopo di euforia, disperazione. La scena nella quale incontra colei che potrebbe diventare la sua nuova badante è da manuale, dovrebbe essere studiata da chiunque ambisce a diventare attore. Il protagonista riesce a sfoggiare un sex appeal che solo un Sir come Hopkins può avere, racconta storie divertenti e poi, all’improvviso crolla, smarrito, disarmato e un attimo dopo minaccioso e velenoso. E poi crolla di nuovo.

Zeller alla sua prima opera cinematografica confeziona un prodotto notevole, quasi interattivo con il pubblico, un’opera dove i piani della realtà vengono continuamente capovolti, questo fa sì che lo spettatore si chieda sempre cosa sia vero e cosa no.

Questo straziante capolavoro raggiunge il suo apice nell’unico vero momento di presa coscienza di Anthony, il momento della resa, quel momento in cui combattere contro la realtà è ormai inutile poiché rendere vivo ciò che vivo non è più, è solo un combattere contro il ciclo naturale delle cose, e non se ne può uscire vincitori: “Mi sento come se stessi perdendo le foglie”.

 Voto: 4/4