THE RELUCTANT FUNDAMENTALIST di Mira Nair (2012)
Mira Nair torna a Venezia ed inaugura con questo titolo fuori concorso la 69° edizione della Mostra del Cinema, con la rinnovata direzione di Alberto Barbera. Nuova non è invece la partecipazione della regista indiana alla manifestazione lidense: sono ben cinque le sue opere presentate in questa sede, una delle quali, il colorato Monsoon Wedding- Matrimonio indiano, le fruttò anche l’ambito Leone d’Oro nel 2001. Confermando la sua predilezione per storie di integrazione e incontri interculturali, Nair porta sul grande schermo il fortunato romanzo The Reluctant Fundamentalist, che dà anche il titolo alla pellicola, offrendo un punto di vista inedito sul Pakistan post-undici settembre.Attraverso l’intervista-confessione con l’ambiguo giornalista americano Bobby, un giovane accademico di nome Changez prova a raccontare la distruzione del sogno americano visto dagli occhi della minaccia islamica, del potenziale terrorista in seno all’impero capitalista ferito, e il suo ritorno in un Pakistan confuso, terrorizzato e privato della propria libertà da una potenza arrabbiata, all’affannosa e cieca ricerca di un capro espiatorio.
Dai primi passi negli States come studente carico di debiti e di belle speranze, all’ascesa nel perfido mondo della finanza newyorchese, fino allo schianto delle torri che lo trasforma, in un lampo, in reietto, Changez è alla ricerca della propria identità, indeciso se rispettare i valori tramandatigli dalla famiglia e dal padre poeta, uomo profondo ma dal conto sempre in rosso, o abbracciare lo squalismo occidentale, che taglia teste per alimentare stellari carriere, senza curarsi delle vittime che miete.
Attraverso un dualismo visivo e sonoro tra il caleidoscopio orientale e la glacialità di ferro e acciaio di Manhattan, Nair prova a restituirci le impressioni di una frattura insanabile tra due mondi che sembrano agli antipodi ma che, suggerisce, sotto sotto hanno molto in comune, a partire dalla facilità con cui si aggrappano ai pregiudizi contro l’altro per giustificare le rispettive sconsideratezze.
Le oscillazioni temporali tra il racconto degli anni americani di Changez e un presente pakistano fatto di rivolte studentesche e biryani, rapimenti di occidentali e facili fondamentalismi, non fanno che confermare l’impressione che poco importi si tratti di Stati Uniti o Medio Oriente: i difetti degli uomini sono sempre gli stessi.
Appassionata e orgogliosa nel dipingere il vivace ritratto di un Paese a lei vicino, Nair conduce la riflessione ideologica con mano ferma, pur senza raggiungere guizzi eccezionali, e le oltre due ore di durata scorrono veloci.
Il cast aiuta, con un ironico Kiefer Sutherland nei panni dello squalo finanziario, un impenetrabile Liev Schreiber che interpreta Bobby, il giornalista, e l’attore-rapper di origine pakistana Rizwan Ahmed, sperduto e perplesso protagonista.
Insipida e bolsa invece Kate Hudson, il cui personaggio di artista tormentata dai traumi del passato ha un che di cliché.
In sostanza, comunque una bella apertura per il Festival numero 69, in attesa di scoprire cosa riserverà il Concorso.