TUTTI I RUMORI DEL MARE – Intervista al regista Federico Brugia
Esce il 24 agosto Tutti i rumori del mare, esordio nel lungometraggio di Federico Brugia. Il film è una co-produzione italo-ungherese delle piccole case indipendenti The Family e Laokoon Filmgroup ed è distribuito dalla Maremosso di Luca Lucini e Raffaello Pianigiani.
Il protagonista, X, è un uomo che si è lasciato alle spalle un passato doloroso e irrisolto, scegliendo di vivere senza identità. Lavora per un’organizzazione criminale che traffica in merci e esseri umani, in particolare donne da avviare alla prostituzione di alto bordo. Ma, un giorno, l’uomo viene incaricato di prelevare da Budapest e trasportare in Italia una ragazza diversa rispetto a quelle che è abituato a “consegnare”: Nora, una piccola e fragile donna che ha fame di vita e sogna un futuro migliore. Durante il viaggio accade qualcosa di inaspettato e a X viene chiesto di abbandonare e successivamente uccidere la giovane. Da quel momento il protagonista compirà delle scelte che rimetteranno in discussione la sua identità e la sua non-esistenza.
Il cast comprende Sebastiano Filocamo, Orsi Tóth, Benn Northover, Mimmo Craig e vede la partecipazione di Malika Ayane (anche autrice delle musiche) e Rocco Siffredi.
Oltre all’uscita in sala del 24 agosto, il film verrà presentato in anteprima speciale all’Isola del Cinema di Roma nella serata di mercoledì 22 agosto.
Abbiamo parlato con il regista, Federico Brugia.
Questo film segna il tuo esordio nel lungometraggio di finzione, dopo tanti anni passati a curare la regia di spot pubblicitari e videoclip: puoi raccontarci come è avvenuto questo passaggio e cosa ti ha spinto ad approdare al cinema?
In realtà era un passo che meditavo da tempo. Un sogno coccolato a lungo… fare cinema – com’è noto – è difficile, in Italia.
A un certo punto, ho messo da parte i sogni che sembravano irrealizzabili e mi sono prodotto un film che ha preso vita grazie a tutte le persone che ci hanno creduto sin dall’inizio… Anziché inseguire finanziamenti e via dicendo, mi sono costruito un film addosso, come un abito sartoriale, con tutti i pregi e i difetti che un’operazione del genere comporta.
Ora punto a realizzare presto il mio secondo film, sperando nell’interesse che avrà suscitato questa prima opera così personale e indipendente.
Un film piuttosto anomalo per il panorama italiano: un thriller ambientato fuori dall’Italia e con diversi attori stranieri. Cosa ti ha spinto verso un soggetto commercialmente così rischioso?
Quello che mi interessava era la verifica e la proposta di un cinema diverso, eppure possibile… fuori dagli schemi tipici del cinema nostrano.
Un film che ho immaginato più in linea con standard stilistici europei, in grado di raccontare una storia attraverso le immagini e tutti i mezzi più propri del linguaggio puramente cinematografico.
Un cinema liquido, non fortemente narrativo e forse meno ammiccante rispetto a quanto siamo abituati a vedere… ma la sfida era proprio questa.
Mi diverte molto come, alle anteprime, vengono colpiti più positivamente proprio quegli spettatori meno avvezzi a un cinema “difficile”.
Io poi penso che non ci sia un cinema facile e commerciale e un altro elitario, complicato…
Ci sono film che piacciono e altri meno. Spero che il mio verrà catalogato tra i primi!
Il film affronta un tema decisamente delicato, ovvero il commercio di esseri umani. C’è dietro un preciso intento di critica sociale?
Penso che Tutti i rumori del mare trovi una sua ragion d’essere nella misura e nel distacco oggettivo che ne caratterizzano la regia.
È un film che tiene sempre lo spettatore un passo indietro. Un film che osserva senza mai criticare, né assecondare.
Molti passaggi, molte scene rimangono volutamente sospese… c’è l’intento di non giudicare mai. Di creare delle zone d’ombra che sarà lo spettatore a riempire con la sua volontà critica.
Nella fattispecie, mi interessava mettere in luce non tanto la denuncia del fenomeno in sé, quanto il fatto che questi sia dato per scontato al punto di poter essere utilizzato come strumento in giochi di potere ad opera, talvolta, delle istituzioni stesse.
Il protagonista è un uomo senza nome che, a causa del suo passato doloroso, sceglie di non esistere. Ricorda un po’ il Titta di Girolamo di Le conseguenze dell’amore, ma in definitiva è un antieroe come se ne vedono pochi nel nostro cinema. Puoi presentarci meglio il personaggio?
Reputo il film di Sorrentino uno dei più belli che il nostro cinema possa annoverare negli ultimi anni.
Se posso permettermi di affiancare il mia piccolo film all’opera di Sorrentino, penso alla matrice comune di un cinema intimo, misurato, giocato sulle atmosfere e le piccole sospensioni.
Un cinema meno urlato… basato sul linguaggio delle immagini.
Un cinema, tra l’altro, portato all’investigazione interiore. Per quanto mi riguarda, il vero riferimento si trova in alcuni film noir francesi, in special modo Le Samouraï di Jean-Pierre Melville.
Sebastiano Filocamo interpreta un personaggio complicato, X, che vive nella convinzione di non esistere, di poter essere chiunque senza mai essere nessuno e, di conseguenza sfuggire a se stesso…almeno fino a quando non sarà la vita a ritrovarlo.
È un film che racconta un momento di masse emotivo, che viene declinato su tre tipologie diverse di persone. X rappresenta la negazione, l’impossibilità del nulla.
A fianco di professionisti poco noti, hai scelto di affidare un cameo a Rocco Siffredi: puoi spiegarci i motivi di questa scelta?
In realtà, Toth Orsi è un’attrice che si sta cominciando a farsi conoscere molto fuori dal nostro paese [premiata tra le Shooting Stars, le stelle nascenti del cinema europeo, al Festival di Berlino 2009, n.d.r.].
Per il resto, c’era lo snobismo di avere dei camei brevissimi, proprio da parte di volti molto noti che avrebbero “fatto cartellone”, come piace dire ai produttori!
“Ecco” mi dicevano tutti i distributori “Hai Rocco Siffredi ma me lo metti solo per due primi piani …te venisse…”
Nel film ti servi del paesaggio come un elemento fondamentale per costruire un’atmosfera. Per questo hai scelto di girare in Ungheria?
In realtà sì. Oltre ad avere un senso nella vicenda che racconto, il paesaggio ungherese offriva la possibilità di delineare bene l’anima vuota dei personaggi… Qquesto limbo in cui sono sospese temporaneamente le loro scelte, le loro esistenze…Il bianco dei paesaggi, l’assoluta assenza di elementi architettonici per chilometri e chilometri…
Il tipo di look fotografico che ho voluto adottare avrebbe avuto un che di falso e di artificioso se non a partire da una realtà e da una luce già di per se stessa così cruda, piatta…
La mia sfida era quella di trovare la poesia nascosta dietro questo velo bianco e uniforme.
Il film esce in sei città, distribuito da una piccola casa, Maremosso. Quanto è difficile per un piccolo film, diretto da un regista esordiente e privo di star, trovare il proprio spazio all’interno di una realtà distributiva sempre più dominata dai blockbuster americani e dai soliti titoli italiani?
Non credo esista un regista che inizi il suo percorso senza augurarsi di diventare Spielberg (!!!)
Credo anche che non esistano ricette utili a garantire il successo di un film. A volte è il meteo (la pioggia) ad aiutare l’esito al primo weekend di pellicole molto più grandi della mia!
Senz’altro, è più facile realizzare un progetto contando su una grande struttura di appoggio (produzione, distribuzione, cast noto al pubblico) ma a lungo termine è l’autenticità a premiare.
Il cinema è un industria basata sui grandi numeri.
La piccola astuzia, la strizzatina d’occhio…. Non sono queste le cose che pagano!
Lo dimostra il box-office. Di fianco a film che sembrava dovessero incassare chissà quanto per la presenza di un nome in cartellone troviamo il successo di una pellicola come Quasi Amici. C’era una volta in Anatolia è un altro film che ha avuto un successo inaspettato…
Il fatto è che a ben guardare c’è un pubblico che chiede un cinema diverso…non per forza attaccato alle logiche del mercato dominante.
Allora, forse, è meglio un’opera prima onesta e senza fronzoli: potrà piacere o no, ma senza dubbio non prende in giro il pubblico.
Penso che la buona fede di un’operazione, alla lunga, possa essere l’unico fattore premiante.
Intervista a cura di Camilla Maccaferri, Valeria Morini e Andrea Chimento che, insieme a tutta la redazione de i-FILMSOnline, ringraziano di cuore il regista Federico Brugia e l’addetta stampa Alessandra Olivi per averci permesso di realizzarla.