WAR HORSE di Steven Spielberg (2012)

Ci sono abiti eleganti e abiti “da guerra”, quelli che usiamo per imbiancare o per giocare a pallone con gli amici. Ci sono cavalli da fiera e cavalli da guerra, buoni solo a faticare. Spielberg racconta la storia di un’amicizia tra un purosangue forte, sano robusto costretto a diventare un cavallo da guerra, ed un giovinotto.

 
La base su cui poggia l’intero film dunque è potenzialmente solidissima anche perché, essendo ambientato durante la prima guerra mondiale, permetterebbe di trattare temi  e sottotrame più umane e complesse. Però sin dai primi minuti di pellicola notiamo che c’è qualcosa che non va. Non riusciamo ad immedesimarci nei personaggi, la colonna sonora del fedelissimo John Williams invade troppo spesso le immagini, le svolte narrative non funzionano e l’aria di buonismo che aleggia durante i lunghissimi 146 minuti li rende poco credibili.

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MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE di David Fincher (2012)

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Le major possono restare indifferenti di fronte a 65 milioni di copie vendute nel mondo? Ovviamente no e per questo dopo soli tre anni dalla prima trasposizione autoctona, arriva nelle sale Millennium: Uomini che odiano le donne diretto da David Fincher. La caratura del regista e dello sceneggiatore (il premio Oscar Steven Zaillian) ci suggerisce che difficilmente si potrà parlare di semplice remake dell’omonima pellicola diretta dallo svedese Oplev. Si tratta di qualcosa di nuovo, qualcosa che potrebbe dare al caso letterario di Stieg Larsson degna vita sullo schermo.

 

 

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Eccezione Tognazzi. Stile della recitazione nella Vita agra

 La figura attoriale di Ugo Tognazzi è stata negli anni sottovalutata all’interno degli studi sulla recitazione, nonché abbondantemente diluita nella schiera di grandi attori che tra gli anni ’50 e gli anni ’60 s’incarica di rappresentare le caratteristiche degli italiani del boom e del post-boom.

Sarebbe invece interessante lavorare sull’eccezione Tognazzi – pur non isolandola dal gruppo formato almeno da Gassman, Manfredi, Sordi e Mastroianni –, studiando non solo le modalità d’impiego di una recitazione peculiare, ma anche analizzando le caratteristiche dei ruoli per cui l’attore cremonese è scelto, e le loro modalità di rappresentazione.

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…E ORA PARLIAMO DI KEVIN di Lynne Ramsay (2012)

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D’accordo, nessuno tocchi Caino. Ma ad Eva chi ci pensa? Se il diktat politicamente corretto della nostra società, autoproclamatasi civile, impone di indagare le ragioni dell’assassino, analizzandone comportamenti e traumi infantili prima di condannarlo, e se, di riflesso, il cinema indugia spesso a raccontarne gesta e fantasmi, non è altrettanto comune soffermarsi sulle motivazioni e le possibili reazioni di chi si ritrova a mettere al mondo, crescere e svezzare un’incarnazione di disumanità, ferocia e violenza. Un mostro, insomma. Perché in fondo Rosemary’s Baby finisce proprio con la nascita della demoniaca creatura. Ma cosa succede quando questa inizia a muovere i primi passi nel microcosmo familiare, preparando il suo futuro e terribile ingresso nel mondo? E quando il suo destino, e quello di molti altri, ignari, è compiuto, oltre al sangue, di cos’è fatta la scia che lascia dietro di sé? Prova a spiegarcelo Tilda Swinton, straordinaria e diafana genitrice del problematico Kevin, fin da piccolo evidentemente disturbato, malato, diverso, attraverso una serie di salti temporali avanti e indietro nella propria vicenda di donna e madre.

 

 

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PARADISO AMARO di Alexander Payne (2012)

Descendants,' With George Clooney - Review - The New York Times

Parlando di Paradiso amaro appare necessario introdurre, per la prima volta su queste pagine, l’argomento delle curiose scelte “titolistiche” fatte dalla nostra distribuzione per le pellicole straniere.

The Descendants, l’interessante titolo originale, centrava pienamente quali sono i principali contenuti di un film costruito sull’eredità, morale e geografica, pendente sulle anime dei personaggi più giovani; Paradiso amaro focalizza invece l’aspetto più banale e scontato che l’importante lavoro di Alexander Payne si porta dietro.

 

Il film è una commedia amara, con momenti ironici uniti ad altrettanti drammatici, e si vede subito.

È ambientato alle Hawaii. Il paradiso terrestre.

 

 

 

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I MUPPET di James Bobin (2012)

i-muppet

 

C’è un edificio da salvare, una band da riunire, una serata di beneficenza da organizzare in fretta, coreografie coloratissime, numeri musicali vivaci, una serie di comparse illustri: il tutto condito da un umorismo demenziale e da una spruzzata di surrealismo. Ma, nonostante le apparenze, non stiamo parlando dei Blues Brothers: i nostri eroi del momento sono alti in media quaranta centimetri e rivestiti in pannolenci. Si tratta dei sempreverdi (è il caso di dirlo, specialmente se pensiamo al leader Kermit) Muppet che tornano al cinema, dopo che i loro ultimi due lungometraggi erano stati destinati esclusivamente al piccolo schermo.

 

 

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THE TRUMAN SHOW di Peter Weir (1998)

The Truman Show. La recensione - Sentieri Selvaggi

 

Ma Pilato risponde a Gesù: “E che cos’è la verita?” (Gv 18, 38)

«Non c’era niente di vero. – Tu eri vero: per questo era così bello guardarti»

( Truman e Cristof, The Truman Show)

 

Tra i tanti pregi di questa pellicola, sicuramente non secondario è quello di riuscire a parlare a tutti. Weir costruisce un’opera commerciale, vendibile ovunque e a qualsiasi fascia d’età o pubblico.

 

 

 

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QUALCUNO VOLO’ SUL NIDO DEL CUCULO di Milos Forman (1975)

Qualcuno volò sul nido del cuculo: recensione del film...

L’Europa e gli Stati Uniti sono stati i principali interpreti della mirabolante ascesa di un’arte giovane e ancora oggi sulla cresta dell’onda, il cinema. Da una parte c’è la Hollywood patinata delle Major (interessate più agli introiti che ai contenuti), dall’altra la scuola europea (francese, tedesca, russa e italiana), che proietta in sequenza delle immagini colme di senso, messaggi artistici al pari dei dipinti, delle poesie o delle canzoni.

Se c’è un regista che è riuscito a riunire il meglio delle due scuole, questo è Miloš Forman. Nato a Čáslavin Cecoslovacchia (oggi Repubblica Ceca), perse i genitori nei campi di concentramento nazisti e a causa della primavera di Praga emigrò nella lontana America divenendo uno dei più importanti registi della storia. Portare al cinema il libro di Ken Kesey intitolato Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over the Cockoo’s Nest) era una sfida che in pochi avrebbero accettato. Nonostante il rischio fosse altissimo (la condizione e il disagio all’interno degli ospedali psichiatrici erano stati fino a quel momento un tabù per i cineasti), il mix tra intrattenimento emotivo hollywoodiano e una trama ricca di sostanza diede vita a un assoluto capolavoro.

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LE IDI DI MARZO di George Clooney (2011)

 

Atteso al varco della sua quarta regia (dopo Confessioni di una mente pericolosa, Good Night, and Good Luck e In amore niente regole), George Clooney si cimenta con la scelta difficile e rischiosa del film politico e lo fa, guarda caso, a un anno dalle elezioni che decideranno se l’avventura di Barack Obama alla Casa Bianca potrà continuare.

Da una parte sta un’ottima sceneggiatura scritta dallo stesso Clooney insieme a Grant Heslov (noto caratterista, co-autore anche di Good Night, and Good Luck e regista di L’uomo che fissa le capre) e Beau Willimon, autore del libro Farragut North da cui Le Idi di marzo è tratto. Dall’altra, l’attore-regista ha ben presente la lezione di cineasti come Sydney Pollack e Alan J. Pakula e di tutto il grande cinema civile americano degli anni ‘70.

 

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LA GRANDE ESTASI DELL’INTAGLIATORE STEINER di Werner Herzog (1974)

La grande estasi dell'intagliatore Steiner - 05/01/2013 - Programmazione -  Lab 80 film

Individuare un “film della vita”, per chi abbraccia un amore fedifrago e promiscuo come quello per il cinema, è davvero difficile. Significa stringere l’anello intorno al dito di un solo amore, e lasciarne delusi decine. Per assolvere a questo difficile compito ho scelto quindi di inventare un percorso diverso. Il primo passo è stato individuare una “filmografia della vita”, la più importante, la più decisiva, quella che più ha inciso sul mio modo di vedere. Il secondo calibrare la scelta intorno ad un film-summa, una specie di sintesi di quella stessa filmografia. Alla luce di queste coordinate la scelta è caduta su La Grande Estasi dell’intagliatore Steiner, di Werner Herzog. L’esplorazione fin nei recessi più nascosti della enorme filmografia del maestro bavarese è coincisa, nel mio vissuto di spettatore-cinefilo, con la fondamentale scoperta di un cinema diverso, o meglio (poi l’ho scoperto) unico. In grado di spingersi molto oltre la magnificenza e la perfezione puramente tecnica, per toccare livelli più profondi di verità e coscienza, cercando costantemente di catturare immagini mai viste, lontane dal logoro grigiore dell’immaginario in cui siamo immersi. La Grande Estasi dell’intagliatore Steiner non è certamente il film più “bello” di Herzog, né tantomeno il più celebre.

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