L’ARRIVO DI WANG (2012)

l arrivo_di_wangL’arrivo di Wang si apre con dei titoli di testa molto “all’americana”, cui segue il primissimo piano di una ragazza terrorizzata e nascosta nel buio, immagine che a molti (anzi a pochi, visto che il film è uscito in una manciata di sale) avrà rievocato The Blair Witch Project. Eppure, quello di cui stiamo parlando è un film tutto italiano e porta la firma dei Manetti Bros. (al secolo Antonio e Marco Manetti), la strana coppia che, oltre ad aver diretto una miriade di videoclip e la serie tv L’ispettore Coliandro, ci ha regalato nel recente passato due piccoli film di culto come il trash e coraggioso Zora la vampira (2000) e il thriller Piano 17 (2005).

Voraci amanti del film di genere, figli bastardi di quella cinefilia più orgogliosamente americanofila – un po’ alla Tarantino, per intenderci -, i due registi più adorabilmente nerd del cinema nostrano si sono stavolta cimentati nientemeno che con la fantascienza: quel genere che il Bel Paese non praticava da decenni (se escludiamo forse solo Nirvana di Salvatores) sembra ora trovare nuova linfa in piccolissimi film come L’ultimo terrestre di Gipi o come questo, costato appena 200.000 euro (un budget quantomeno ridicolo se confrontato con quello di un’analoga produzione americana).

 

 

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ROMANZO DI UNA STRAGE di Marco Tullio Giordana (2012)

(… ) Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.(..)

Pier Paolo Pasolini

 

È una bestia strana, il cinema italiano. Chiuso nella sua decennale crisi cronica, sembra essersi autocondannato ad annegare talenti e idee nel gigantesco calderone della commedia nazionalpopolare più o meno becera, in cui gli incassi sono inversamente proporzionali all’originalità dei contenuti e la parola d’ordine pare essere “disimpegno”.

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17 RAGAZZE, di Delphine Coulin e Muriel Coulin

Dopo essere stato presentato a Cannes lo scorso Maggio, arriva nelle nostre sale questo lavoro molto interessante diretto da una coppia di sorelle francesi non emergenti ma al loro primo lungometraggio.

Le sorelle Coulin s’ispirano ad un evento realmente accaduto nel 2008 a Glouchester, nel Massachussets, facendolo loro con ambientazione e stile del cinema francese. Il film racconta di un gruppo di adolescenti che decidono di rimanere in gravidanza tutte insieme. Quasi prendendone le distanze, le Coulin non entrano mai nel merito della questione con giudizi propri. Cercano di mostrare i fatti e lasciare decidere allo spettatore che idea farsi. Solo in una sequenza in cui le giovani giocano a calcio sulla spiaggia con una palla infuocata il rimando a “se giochi col fuoco..” risulta una frecciatina piuttosto esplicita. I maschi non ci sono in questa pellicola, e se ci sono contano pochissimo. Così come gli adulti. L’adolescenza è un mondo difficile. Forse non siamo ai livelli di Gus Van Sant ma lo spaesamento di fronte ai fatti narrati e soprattutto l’incapacità di darci una risposta sul perché siano accaduti, sembrano immergerci in tale universo pieno di domande e curiosità alle quali spesso si risponde con modi estremi.

Elemento importantissimo e più che centrale nella pellicola francese è il corpo umano. Una macchina perfetta che genera altre macchine. Il pancione è il marchio che le 17 ragazze del titolo legano ai membri della propria setta. Ma oltre al loro corpo, c’è anche quello della vita nascosta dentro di loro e mostrataci solo attraverso apparecchi medici, oppure c’è anche l’invisibile (ottima la scelta di non riprenderlo quasi mai) corpo maschile, utilizzato più come strumento che altro.

Le Coulin sembrano particolarmente legate a questo tema anche perché adottano uno stile cinematografico rischioso ma ben coordinato. Avvicinano spesso la macchina da presa ai volti delle loro giovani attrici. I primi piani sono diversi, e forse non tutti centrati (dovuto anche alla giustificata inesperienza delle protagoniste), ma che suggeriscono con cautela la direzione che la pellicola vuole prendere, senza mai accelerare o osare troppo. Per ultimo mi sembra corretto riflettere su come, con tutto questo materiale potenzialmente attivo, non si sfoci minimamente in tematiche antiaborto o simili. Sarebbe stata una scelta fuori luogo ancor prima che incoerente. Le Coulin l’hanno capito e non ci sono cascate. Meno male.

VEGAS: BASED ON A TRUE STORY di Amir Naderi (2008)

 

Luci scintillanti, cappelle matrimoniali aperte 24/7, contanti che viaggiano a velocità supersonica: questa è la mecca del divertimento americana per il grande schermo, meta di lisergici pellegrinaggi (Paura e delirio a Las Vegas) o di addii al celibato dagli esiti tanto sboccati quanto demenziali (Una notte da leoni). Eppure esiste anche un altro, ben più dimesso, risvolto della medaglia, che non viene quasi mai raccontato perché privo di appeal, squallido, deprimente. È il vero volto di Las Vegas, quello fatto di disperazione umana centellinata in silenzio a ogni tiro di slot-machine, quello della povertà estrema, della dipendenza e della desolazione assoluta dei prefabbricati a schiera, che infestano la città al di là della celeberrima e ultrapacchiana Strip, sede di quei monumenti alla falsità cartonata che sono i casino tematici.

 

 

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THE RAVEN di James McTeigue (2011)

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Nevermore. Oltre ad essere il verso finale dell’immortale poema di Edgar Allan Poe che condivide il titolo con questa sfortunata pellicola, è senz’altro il pensiero che attraversa la mente dello spettatore all’uscita dal cinema. Mai più. Nessun temerario oserebbe accostarsi una seconda volta a questo lavoro che, se nelle intenzioni voleva essere un omaggio a uno dei grandi della letteratura americana, risulta in un didascalico e raffazzonato pastiche delle citazioni più scontate e banali tratte dall’opera dell’autore.

Il proposito è quello di raccontare gli ultimi giorni di vita di Poe attraverso una fantasiosa vicenda a metà tra la mystery story di ambientazione ottocentesca e l’action movie, sulla falsariga di prodotti come From Hell e Sherlock Holmes, aggiungendo (sperando forse in un tocco di classe) un riferimento diretto alle sue opere. Lo scrittore originario di Boston, che, come racconta la pellicola, fu effettivamente ritrovato farneticante per le strade di Baltimore per morire poco tempo dopo in circostanze non chiarite, viene infatti messo dalla finzione filmica ad indagare sugli orribili omicidi di un serial killer che colpisce disseminando la scena del delitto di indizi tratti dalla sua letteratura. Per stimolare ulteriormente le indagini, l’assassino rapisce la promessa sposa di Poe, costretto ad ingaggiare una corsa contro il tempo per salvare l’amata.

 

 

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L’ALTRA FACCIA DEL DIAVOLO (2012)

 

 

Ma guarda un po’. Un altro film sul Diavolo. Tempi duri per il Maligno, ahilui, più inflazionato di Audrey Hepburn. Tuttavia, è inutile negarlo, il tema intriga: dai tempi de L’esorcista (1973) di William Friedkin, ogni volta che in sala esce un film che ha come oggetto la possessione demoniaca, gli spettatori accorrono (più o meno in massa) al cinema. Speranzosi, forse, di ricevere un brivido degno di questo nome? O morbosamente attratti dall’argomento, che provoca un sottile disagio, forse per quel limite tra il soprannaturale e la malattia mentale da sempre detonatore di scissioni e discussioni?

Ok, andiamo a vedere di che si tratta. So già che me ne pentirò.

 

 

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ARRIETTY (2011)

 Molto più che l’ormai familiare e caratteristico character design, i film dello Studio Ghibli sono immediatamente riconoscibili per quel modo così leggero ma incisivo di utilizzare le meccaniche del racconto favolistico per abbracciare, attraverso il fantastico, tematiche ben più importanti e universali. Arrietty non fa eccezione. 
Diretto da Hiromasa Yonebayashi, già animatore di alcuni dei capolavori dello Studio e qui al suo notevole esordio alla regia, la sceneggiatura è basata sui racconti dell’autrice inglese Mary Norton, adattati da Hayao Miyazaki la cui impronta è percepibile a più livelli partendo proprio dalla protagonista Arrietty, ragazzina appena quattordicenne appartenente ad una razza molto simile alla nostra se non fosse per l’altezza che non supera i dieci centimetri. 

 

   

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IL BUONO, IL MATTO, IL CATTIVO di Kim Jee-woon (2011)

Non potendo contare sulla caratura artistica di altri suoi illustri colleghi (come Park Chan-wook, giusto per fare un esempio macrosopico), Kim Jee-woon non è certo rimasto con le mani in mano a fare la figura della promessa non mantenuta del cinema coreano, avendo esplorato, come pochi altri, sempre generi diversi per ogni nuovo progetto. Il Buono Il Matto Il Cattivo (The Good, The Bad, The Weird) rappresenta la sua personale incursione nel western ed arriva ufficialmente in Italia grazie alla Tucker Film. Il titolo lascia facilmente intuire un chiaro riferimento agli spaghetti western ma, ad onor del vero e per evitare di rimanere in qualche modo ingannati, i paralleli con il cinema di Leone iniziano e finiscono(o quasi) lì. 

        

 

 

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Il fenomeno JAMES BOND, 50 anni di un mito

 

JamesBondIan Fleming dà vita al personaggio di James Bond nel 1952 con il romanzo Casinò Royale, a cui fa seguire, con cadenza quasi annuale, una decina di altri romanzi fino al 1964, anno della prematura morte dell’autore stesso.

Il folgorante esordio sul grande schermo è invece del 1962 e, dopo cinquant’anni esatti dalla prima apparizione, la saga di 007 è giunta ora al ventitreesimo episodio, la cui trama è ancora top-secret: è certo, comunque, che Skyfall uscirà nelle sale il 9 Novembre 2012.

La popolarità su vasta scala di James Bond è sicuramente merito del cinema che, nella prima metà degli anni ’60, lo consacra a vero e proprio fenomeno culturale. Nel corso degli anni, l’hanno interpretato sei attori diversi, ognuno dei quali è riuscito a mettere in evidenza un particolare aspetto della personalità del personaggio. Al servizio segreto di Sua Maestà si sono alternati nell’ordine: Sean Connery, George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan ed infine Daniel Craig. I film dell’ era Craig, attraverso l’espediente, peraltro abbondantemente sfruttato anche in altre saghe, di proporre la genesi del personaggio, ci mostrano un James Bond dal grilletto facile, la cui esuberante violenza è solo in parte ammorbidita da un fosco romanticismo di fondo.

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CESARE DEVE MORIRE di Paolo e Vittorio Taviani (2012)

cesare-deve-morireVisti così, Paolo e Vittorio potrebbero essere due giovani registi (freschi di Centro sperimentale di Cinematografia) alle prese con uno dei primi lavori della loro acerba carriera. L’idea che genera il film è quella di unire due mondi che apparentemente sono agli antipodi (il teatro Shakespeariano e il carcere), accomunati però dalla presenza di personalità intrappolate da valori ai quali è difficile sfuggire. La pellicola, intitolata Cesare deve morire, ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino grazie al suo sguardo innovativo e al contempo profondo.

 

Paolo e Vittorio Taviani in realtà sono due fratelli ultra ottantenni che con la loro macchina da presa hanno contraddistinto sei decadi di cinema italiano. Un percorso costellato da (molti) successi e (qualche) flop, all’insegna di un cinema mai banale, iper-realistico e sempre attento a cogliere gli aspetti più importanti da situazioni apparentemente non interessanti. Ne I Sovversivi (1967) il funerale di Togliatti era solamente un pretesto per  fotografare una generazione in crisi di ideali e in Padre padrone(1972) il bambino protagonista è il simbolo di un’Italia (soprattutto quella del sud) cresciuta “fuori dal mondo” a causa di figure genitoriali dispotiche e troppo ingombranti.

 

 

 

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YOUNG ADULT di Jason Reitman (2011)

young adultÈ raro trovare nel panorama contemporaneo autori che mantengano costante il livello delle proprie opere: la maggior parte di essi si perde dopo esordi felici o impenna improvvisamente il tiro per poi precipitare inevitabilmente al primo passo falso. Ancor più raro è il caso di figli d’arte che riescano a superare, in tutto e per tutto, le orme genitoriali: Jason Reitman tuttavia rientra pienamente in entrambe le categorie. Dopo il lodevole debutto di Thank You for Smoking, il successo planetario di Juno e la definitiva consacrazione con il divo Clooney di Tra le nuvole, Reitman Jr. (il padre Ivan, lo ricordiamo, è entrato a far parte del nostro immaginario affettivo con commedie demenziali come Ghostbusters, ma non si può certo dire che sia assiso nell’Olimpo di Hollywood) firma, insieme alla geniale Diablo Cody (già autrice di Juno), la quarta commedia agrodolce della sua breve ma intensa carriera.

Una sempre brava Charlize Theron dà corpo alla frustrata Mavis, ghostwriter per un’imbarazzante collana di libri per adolescenti (gli “young adults” del titolo), fresca di divorzio e costretta dalle circostanze anche anagrafiche a fare i conti con i primi bilanci esistenziali. Un’email del suo ex-ragazzo del liceo che annuncia giulivo la nascita della sua primogenita la riporta, anima e corpo, al soffocante buco di provincia che aveva lasciato anni addietro, in cerca di miglior fortuna nella metropoli.

 

 

 

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A SIMPLE LIFE di Ann Hui (2011)

 Filmare “le cose come sono” è stato un sogno a lungo inseguito da molti cineasti, da Flaherty a Rossellini. Il cinema, illusione dell’immagine in movimento, ha più volte cercato, ribaltando il suo statuto ontologico, di catturare l’essenza della realtà, spogliandola del suo involucro fenomenico e cogliendola nella sua fragilissima, denudata, verità. Lo splendido A Simple Life della cinese Ann Hui, accolto con grande entusiasmo e commozione durante la scorsa Mostra del Cinema di Venezia e da qualche giorno nelle sale italiane distribuito dalla Tucker Film, è riuscito in questo difficilissimo intento.

Il film racconta la vicenda di Ah Tao (Deanie Ip, una meritatissima Coppa Volpi), anziana amah, domestica di una ricca famiglia borghese, e il suo profondo legame affettivo con Roger (Andy Lau), primogenito della famiglia che ha per tutta la vita assistito. Malata e sola, Ah Tao trova in Roger una presenza importante nel momento della sofferenza. E Roger riscopre nella sua anziana tata il più forte legame identitario con il suo passato e il più saldo ed intimo vincolo affettivo della sua vita.

 

 

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50 E 50 di Jonathan Levine (2012)

Sempre di più al giorno d’oggi, quando si parla di “cinema indipendente americano” (connotazione che fino a qualche tempo fa era sinonimo di prodotto, in un certo senso, di qualità), si rischia di prendere in considerazione un’etichetta, costruita su specifiche convenzioni, piuttosto che uno spontaneo modo di fare cinema: come invece l’indie dovrebbe essere.

Senza generalizzare troppo, dato che lo spirito più puro sopracitato è ancora presente in diversi film, si pensi paradossalmente (tra i più recenti) al francese Tomboy di Celine Sciamma, c’è comunque da sottolineare come dietro alla facciata dell’indipendenza si nascondano pellicole costruite ad hoc per rientrare, sfacciatamente e a tutti i costi, in questa categoria.

 

 

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STAR WARS – EPISODIO I LA MINACCIA FANTASMA 3D di George Lucas (2012)

Star Wars – La minaccia fantasma, il film compie 21 anni: 10 curiosità

George Lucas colpisce ancora. E la saga di Star Wars, il meraviglioso giocattolo che dal lontano 1977 ha invaso il nostro immaginario con il suo universo sci-fi/fantasy che mescola archetipi ancestrali alla potenza degli effetti speciali, sembra davvero un fenomeno inesauribile. Straordinaria macchina per produrre soldi ma anche creatura proteiforme che straborda dai confini meramente cinematografici per farsi prodotto crossmediale sfruttabile all’infinito dal suo geniale e furbo creatore.

É così che, per cavalcare l’onda del fenomeno 3D, l’intera saga è tornata nelle sale arricchita dalla visione in stereoscopia, con il progetto di far uscire un episodio all’anno: Lucas ha scelto di seguire l’ordine cronologico degli eventi, per cui si parte con Episodio I – La minaccia fantasma. Correva l’anno 1999 quando il film uscì per la prima volta in sala, a diciassette anni da Il ritorno dello Jedi: per i milioni di fan e per coloro che invece scoprivano il mondo di Star Wars per la prima volta fu un evento epocale, tradotto in un incasso mondiale pari a oltre 900 milioni di dollari (che ora, grazie a questa riedizione, ha superato il miliardo).

 

 

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KNOCKOUT di Steven Soderbergh (2012)

Knockout

Steven Soderbergh torna dietro la macchina da presa, dopo Contagion, con un action-movie che non dà un attimo di tregua allo spettatore. Il punto di forza del film è sicuramente il cast, di quelli da far tremare le vene ai polsi: Michael Douglas, nei panni di un pezzo grosso dell’Intelligence americana; Ewan McGregor, l’ambiguo capo di un’agenzia privata nata da una costola dei servizi segreti; il “prezzemolino” Michael Fassbender, agente irlandese al servizio segreto di sua Maestà; Antonio Banderas, contatto spagnolo con licenza di fare il doppio gioco.

 

 

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