Berlinale 2017: A FANTASTIC WOMAN di Sebastián Lelio, CASTING JONBENET di Kitty Green

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A FANTASTIC WOMAN di Sebastián Lelio (concorso)

Una giovane donna vive da un anno una relazione con un uomo sposato di gran lunga più anziano di lei. Quando questi morirà per un malessere improvviso, la sua famiglia si scaglierà contro la ragazza per metterla completamente al bando. Non hanno mai accettato la sua intrusione nella loro cerchia e, cosa ancora più grave, non hanno mai accettato la sua identità sessuale in quanto trattasi di un transgender. Il regista cileno ha tra le mani un progetto sicuramente scottante e più che rischioso. Il film è un continuo svelarsi di misteri legati al passato e gioca molto con la sfera privata della protagonista per fomentare un alone di sospetto e non detto capace di stravolgere completamente il clima che circonda i personaggi in scena. L’impianto stilistico adottato da Lelio è degno di nota, le geometrie della scena sono molto più stabili delle turbe personali vissute dalle pedine che smuovono la scacchiera e il film riesce a regalare un paio di sequenze visivamente davvero notevoli (la scena del vento e quella ambientata nella sauna). Peccato che qua e là il tutto non riesca a reggere sempre il ritmo iniziale, lasciandosi tentare da qualche passaggio furbo e irrisolto che non giova al progetto (la busta dell’incipit e l’armadietto). Resta il fatto che sinora è il titolo più forte del concorso. Produce Pablo Larrain.

Voto: 2,5/4

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CASTING JONBENET di Kitty Green (Panorama)

Nel 1996, alla tenera età di sei anni, la reginetta di bellezza JonBenet Ramsey viene trovata morta in casa. Il caso è tutt’ora irrisolto e la verità non è stata ancora svelata. La verità. Proprio su questo concetto si interroga il film di Kitty Green, o meglio, sulla ricerca di quest’ultima. Il cinema è visto da molti come una lente interpretativa della realtà che ci circonda, uno sguardo unico e irripetibile con cui comprendere al meglio la vita, l’esistenza, la società. Allora perché non utilizzare la settima arte come lente d’ingrandimento per fare luce su un mistero vecchio di venti anni? Fino a qui nulla di nuovo, ma il quesito che si pone la regista è ulteriore: il cinema documentario potrebbe essere più indicato per analizzare un simile caso? Oppure dobbiamo rifarci alla finzione? Questo è lo spunto davvero interessante del film che tuttavia viene sviluppato solo in parte dall’autrice. Green infatti preferisce accomodarsi dietro una messa in scena perfettamente calibrata e studiata a tavolino per interrogarsi sul processo creativo dell’attore. L’interpretazione porta i protagonisti a vivere una loro versione dei fatti, a donare al tutto una chiave di lettura individuale e irripetibile. La realtà è molteplice e impossibile da cogliere e il film continua a insistere su questo concetto già ampiamente sviluppato e sviscerato in precedenza adottando una forma cinematografica furbetta e scolastica per ribadire il messaggio. Peccato però, perché l’inizio funziona e le premesse sono valide. Purtroppo, da quando la regista inserisce il pilota automatico, il tutto prende una forma molto meno convincente.

Voto: 2/4