Berlinale 2017: ON BODY AND SOUL di Ildikó Enyedi e THE DINNER di Oren Moverman

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ON BODY AND SOUL di Ildikó Enyedi (concorso)

Due solitudini che si incontrano. Tema trito e ritrito, al cinema e non solo. Eppure, è proprio quando si racconta qualcosa di “classico” in una chiave insolita che il nostro interesse aumenta esponenzialmente. On Body and Soul è un film tripartito nei classici (coincidenze?) tre atti, capace di forzare la linea sul primo e l’ultimo, incorniciando così la vicenda in coordinate storiche e stilistiche ben precise, senza però riuscire a svettare in egual misura nella corposa e ridondante parte centrale.

Procediamo con ordine. Basta poco alla regista per condurci in un’atmosfera onirica e surreale, filtrata attraverso brusche svolte narrative e, meglio ancora, inquadrature sovraesposte e palesemente fittizie. Il binomio tra la magia silenziosa del bosco innevato e abitato da sontuosi cervi e la crudezza di un mattatoio d’allevamento vuole subito mettere le cose in chiaro: i personaggi subiranno una violenza (non solo psicologica) per cercare dei punti di contatto e ambire alla sinergia di coppia. Il finale, altrettanto coraggioso e riuscito, insiste su simili concetti riuscendo anche nella difficile missione di sdrammatizzare la vicenda con dei tagli da commedia nera politicamente scorretta. Tutto bene, tutto giusto. Peccato però che in quell’interminabile segmento centrale il film faccia completamente un passo indietro rispetto alla sua cornice. Già, perché le ripetizioni, i vuoti emotivi, i personaggi di contorno caricaturali, gli snodi insoluti, sono tutti tasselli in più di un puzzle dalle piccole (ma non per questo minori) dimensioni che cerca di competere in un campionato che non gli appartiene. Un’opera interessante, incompleta, imperfetta, ma che denota un coraggio artistico da non sottovalutare e una scelta significativa da parte della Berlinale nell’inserirla all’interno della sezione più importante di tutte.

Voto: 2/4

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THE DINNER di Oren Moverman (concorso)

“Se giochi col fuoco, resti bruciato”. Mai proverbio potrebbe essere più preciso di questo per introdurre un film che col fuoco ci gioca eccome. Non solo perché la bravata di due adolescenti che dà via alle vicende narrate ha proprio a che vedere con un incendio, ma anche perché è Oren Moverman stesso a mettere troppa carne al fuoco al progetto e ad addentrarsi in un campo d’azione che gli compete pochissimo. Se infatti lo spunto narrativo vede due coppie di genitori seduti a tavola per cercare di riflettere su come rimediare al danno causato dai rispettivi figli, quello che il regista vuole realizzare è una radiografia della tensione sociale insita nell’America di oggi. La Guerra Civile (inutilmente riportata alla memoria) funge da metafora per la “guerra” fraterna che i due protagonisti del film (ma più in generale i cittadini americani) sembrano vivere quotidianamente da diverso tempo ormai. Tutti spunti interessanti e anche condivisibili, riportati però sul grande schermo attraverso una regia dai tratti, alle volte, amatoriali. Moverman esagera notevolmente con il cinema e si affida a una narrazione frammentata, una luce invadente e un connubio stridente tra lo stile drammatico delle vicende e l’ironia usata nelle sequenze concernenti l’alta cucina. Buona prova degli attori (Richard Gere, Laura Linney, Steve Coogan, Rebecca Hall), ma questo non basta ad arginare la visione sopra le righe dell’autore.

Voto: 1,5/4