BLAIR WITCH di Adam Wingard (2016)
Una forza potente ma invisibile. Stiamo parlando della strega di Blair? No, parliamo del marketing. Nel 1999 un film a budget ridottissimo e costruito sulla base di un’idea abbastanza banale, divenne un cult. Perché? Semplicissimo: prima dell’uscita di The Blair Witch Project un’efficacissima campagna pubblicitaria fece credere al mondo che la storia raccontata dalle immagini fosse realmente accaduta e che il film fosse semplicemente il frutto del montaggio di nastri ritrovati nella foresta dove misteriosamente erano scomparsi alcuni ragazzi anni prima. Quando poi, dopo l’uscita, il trucco venne scoperto, il film perse gran parte del proprio fascino e venne ricordato solo come esempio del potere assoluto del marketing nei tempi moderni. Che la strega fosse una metafora?
Complice forse la nostalgia, nel 2016 Adam Wingard, già regista e sceneggiatore di svariati horror più o meno riusciti, rispolvera il genere del found footage movie senza però aggiungere guizzi creativi che possano giustificarne la scelta. 20 anni dopo la scomparsa di sua sorella Heather, James e i suoi amici Peter, Ashley e Lisa si avventureranno nella foresta di Black Hills accompagnati da due ragazzi del luogo.
Lo svolgersi della storia, sia dal punto di vista narrativo che sostanziale, è praticamente identico al film del 1999. La domanda che ad un certo punto sorge è: perché? Pochi sono gli elementi nuovi, ma la sensazione di sorpresa e di coinvolgimento emotivo è molto lontana. Senza dubbio, il personaggio meglio riuscito è quello della strega, soprattutto quando non c’è, perché a volte è la sottrazione la scelta migliore.
Voto: 1,5/4
Lucrezia Variale