C’mon C’mon di Mike Mills, la recensione
Affascinante e delicato road-movie in bianco e nero, diretto e sceneggiato da Mike Mills, narra la storia di Johnny (Joaquin Phoenix), regista radiofonico, chiamato dalla sorella Viv (Gaby Hoffman) per badare a Jesse (Woody Norman), il nipote di nove anni, intanto che lei corre ad aiutare il marito, afflitto da problemi psichiatrici. L’intero film segue lo svilupparsi e la costruzione del rapporto zio/nipote, in viaggio da Los Angeles a New York, a New Orleans, intanto che Johnny porta avanti un suo progetto radiofonico, intervistando dei ragazzi, su cosa pensano del mondo, del futuro, della felicità ecc.
Da uno spunto quasi banale, come la routine giornaliera, i piccoli/grandi momenti che determinano la costruzione di un forte legame, l’essenza di tutto il film: “Ho sempre visto il mondo come una favola intrecciata con un documentario” (cit. M. Mills).
L’attenzione volta alla registrazione dei suoni circostanti, delle voci dei giovani intervistati e dei momenti privati tra i due novelli etnografi, al catturare i pensieri, le speranze e le curiosità delle nuove generazioni così come la relazione stessa tra i due, in divenire, per farne tesoro e memoria: “Mi piace registrare i suoni perché diventano immortali, rimangono con te” (cit.Johnny/J.Phoenix).
Bellissimo e avvolgente bianco e nero di Robbie Ryan (pluri-premiato con La Favorita di Yorgos Lanthimos), sui toni morbidi e poco contrastati, che vanno a creare un naturalismo non forzato, in cui gli interni sono fusi con paesaggi urbani quotidiani, dal micro al macro e viceversa, sottotesto leitmotiv di tutto il film.
Notevole l’interpretazione e l’intesa dei “due compagni di viaggio”. Sorprende soprattutto J. Phoenix nel ruolo di vice genitore e amico, decontratto e tenero, come non l’abbiamo mai visto sullo schermo.
Paradossalmente il dispiegarsi semplice e curioso dello sguardo dei giovani sul mondo, che è il punto di forza della costruzione drammaturgica di Mills, diventa pure il suo limite, quando l’altra faccia della medaglia rappresenta uno sguardo razionale/analitico, volutamente dal tono documentaristico e che forse per questo asciuga talmente il discorso, che riduce per noi l’effetto di spontanea empatia e phathos.
Voto: 2/4