Sussurri e grida, di Ingmar Bergman

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A cura di Francesco Pozzo

Verrebbe da chiedersi: ma coloro che idolatrano la bieca pornografia del dolore che è Vortex di Gaspar Noé, o – peggio – il The Whale di Darren Aronofsky, avranno mai visto Sussurri e grida del maestro Ingmar Bergman? Un film che potrebbe aver girato Dio, se Dio esistesse o fosse esistito (o forse Dio era Ingmar Bergman, semplicemente: avrebbe molto più senso), oltre che la prova concreta e tangibile che ogni grande cineasta fa un unico film per tutta la vita con qualche sottile variazione sul tema: un concetto che allo svedese si applica millimetricamente: dal Posto delle fragole a questo, dal Flauto magico a Luci d’inverno, da Sinfonia d’autunno a Fanny & Alexander, il bisogno e il senso profondo dell’amore e dell’affetto umano, del calore e della vicinanza prima di ogni cosa e prima ancora di un dialogo con un dio assente ma opprimente, è sempre stato il suo comune denominatore: e questo, si badi bene (sembrerà paradossale, ma è così), è un film medicatore: distrugge, ma purifica.

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Ariaferma di Leonardo Di Costanzo: un’analisi

Ariaferma: la recensione di Paolo Mereghetti del film con Toni Servillo e  Silvio Orlando - iO Donna

C’è una canzone di De Andrè che racconta di un carcerato che siccome non vuole respirare la stessa aria dei secondini decide di rinunciare all’ora d’aria, in Ariaferma succede l’opposto, i secondini e i carcerati si sfidano in una gara d’umanità dove lo sfiorarsi sembra determinare quanto in fondo tra criminali e guardie non ci sia una grande differenza.

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Pasolini, il centenario del profeta terreno

Pier Paolo Pasolini, «era dappertutto con la sua passione di tutto» -  PAGINA21

Avrebbe compiuto cent’anni, lo scorso 5 marzo, l’intellettuale più eclettico, versatile e controverso del secolo scorso. Su Pier Paolo Pasolini è stato detto tanto, tutto. Celebrare il centenario della sua nascita, senza rischiare di glorificarne l’opera omnia cedendo ad un certo manierismo didascalico, è un’impresa delicata e complessa: perché in Pasolini, rispetto ad altri, non vi è ambito che non sia stato profondamente indagato, analizzato, sviscerato. Poeta (scrisse migliaia di versi), romanziere, cineasta (ventiquattro pellicole), teorico, critico, saggista, drammaturgo, pittore. Cosa ci resta da dire, dunque, su Pasolini, che non sia già edito?

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La trilogia dell’Apocalisse di John Carpenter – Parte III: Il seme della follia

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1994. Siamo in un periodo particolarmente produttivo nel mondo del cinema horror, un periodo di vera e propria riflessione, di analisi e di revisione come forse mai prima era accaduto. Artisti del calibro di Sam Raimi, Wes Craven e naturalmente John Carpenter decidono, per vie totalmente differenti, di studiarne aspetti e costrutti che portano alla creazione di questo genere e alla conseguente messa in scena della paura e dei nostri incubi più profondi, senza disdegnare un pizzico di ironia nelle loro validissime analisi.

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La trilogia dell’Apocalisse di John Carpenter – Parte II: Il Signore del Male

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1987. Dopo alcuni film di insuccesso al botteghino prodotti dalle major, tra cui quello de La Cosa, John Carpenter decide ed in parte è costretto a tornare a lavorare con produzioni a basso budget. Grazie all’amico Larry Franco ottiene un contratto con la Alive Pictures con cui si accorda per la realizzazione di quattro lungometraggi. Il primo di questi è appunto Il Signore del Male, secondo capitolo della Trilogia dell’Apocalisse, di cui il regista firma anche la sceneggiatura sotto lo pseudonimo di Martin Quatermass, omaggiando così la serie TV, da lui particolarmente apprezzata, scritta da Nigel Kneale.

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La trilogia dell’Apocalisse di John Carpenter – Parte I: La Cosa

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Tre lungometraggi, probabilmente tre capolavori, un solo regista: John Carpenter. Stiamo parlando della rinomata trilogia dell’Apocalisse del celeberrimo cineasta americano che comprende La Cosa (1982), Il Signore del Male (1987) e Il seme della follia (1994). Tre opere in cui l’autore affronta lo stesso tema apocalittico da altrettante prospettive differenti, in cui a rivelarsi è la vera natura dell’uomo, spogliato di qualsivoglia struttura sociale, capace di mostrarsi per ciò che è. Un viaggio filmico attraverso il quale ci vengono palesati prima in maniera più concreta, poi in maniera scientifico/spirituale e infine metacinematografica gli attimi che precedono il tracollo della cultura, del progresso e del benessere dell’essere umano che si ritrova a fare i conti con i propri incubi e le proprie incertezze.

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Un brindisi di sangue: festeggiamo i 25 anni del Dracula di Francis Ford Coppola

 

Io vi condanno alla eterna fame di vitale sangue e alla vivente morte

Dracula

Quando Francis Ford Coppola decise di riportare sullo schermo il più celebre vampiro della storia in una mega-produzione fatta di costumi sfarzosi (premiati con un Oscar), scenografie spettacolari e un cast stellare, non molti a Hollywood sembravano dargli credito. Il regista era conosciuto per i suoi problemi e ritardi in produzione (dopo la tragedia di Apocalpyse Now e le vicessitudini dei Padrini) e lo script era violento, sanguinoso, erotico, più adatto a un double feature di mezzanotte che a un blockbuster.

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TRENT’ANNI DI HELLRAISER: Clive Barker e il piacere dell’ossessione

 

“Tu hai aperto la scatola e noi siamo venuti. Devi venire con noi a provare i nostri piaceri.”

Era il 1987 quando sul grande schermo uscì Hellraiser. Un film di genere, con un budget non troppo consistente, dedicato agli appassionati in senso stretto, o almeno così si pensava; un film che in realtà avrebbe rivoluzionato i codici dell’horror, aprendo nuove porte alle visualizzazione di incubi indicibili.

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Mostri che ridono: i clown più inquietanti della storia del cinema

 

La cosa che in questo mondo può essere più orrida è la gioia

                                                                       Victor Hugo, L’uomo che ride

L’uscita del nuovo IT al cinema fa rivivere nei trentenni di oggi (compresa chi scrive) uno dei traumi infantili più terrificanti: la paura dei clown, quei personaggi colorati e rassicuranti che dovrebbero divertire i bambini e che il genio folle di Stephen King, con il suo Pennywise, ha trasformato per sempre in figure demoniache. Esiste addirittura un termine scientifico, coulrofobia, per definire un irrazionale terrore dei pagliacci, fenomeno che King intercettò per creare il protagonista del suo romanzo, ispirato in parte a Roland Mc Donald e alle gesta orribili di John Wayn Gacy, un serial killer americano che nel tempo libero animava le feste travestito da Pogo il Clown. Ma ben prima di Pennywise altri pagliacci hanno fatto rabbrividire gli schermi e ciascuno di loro ha portato sensazioni inquietanti, nascoste dietro la fissità impenetrabile del cerone, chi per crudeltà, chi per un tragico destino. Riscopriamo insieme alcuni tra i clown più disturbanti della storia del cinema.

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Il poeta che raccontava mostri: addio a George A. Romero

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I’ve always felt that the real horror is next door to us, that the scariest monsters are our neighbors.

George A. Romero

Sono i colletti bianchi, l’ossessione capitalista, le folle che si ammassano nei centri commerciali alla ricerca compulsiva di merce, magari in saldo, i mostri dei nostri tempi. Ce l’ha insegnato George Andrew Romero, newyorkese di padre cubano, maestro dell’orrore e della riflessione sociale.

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IT – L’ORRORE SFUGGENTE DALLE PAGINE ALLO SCHERMO

  

Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse anche di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato sapere e narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia. La barchetta beccheggiò, s’inclinò, si raddrizzò, affrontò con coraggio i gorghi infidi e proseguì per la sua rotta giù per Witcham Street, verso il semaforo che segnava l’incrocio con la Jackson. Le tre lampade disposte in verticale su tutti i lati del semaforo erano spente, in quel pomeriggio d’autunno del 1957, e spente erano anche le finestre di tutte le case. Pioveva ininterrottamente ormai da una settimana e da due giorni si erano alzati i venti.

Stephen King, It

Era il 1986 quando It, romanzo cult horror, venne pubblicato. Circa 1240 pagine scritte da Stephen King, che cambiarono per sempre la concezione mainstream del genere, raggiungendo anche i non appassionati in senso stretto. Una vera e propria Bibbia, un apologo sulla perdita dell’innocenza, sul passaggio all’età adulta, sull’adolescenza come rito simbolico di appropriazione e necessaria privazione, sull’infanzia violata, sull’ombra di maligna ipocrisia propria di ogni cittadina di provincia.

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EDWARD MANI DI FORBICE compie 25 anni: la favola-capolavoro di Tim Burton

 

Perché nevica, nonna?

Una domanda semplice, posta da una bambina in una fredda notte d’inverno. E come vuole la tradizione del mito, è necessario raccontare una favola per dare una spiegazione soddisfacente ed esaustiva. Non è quindi un caso che la prima immagina sia il logo della 20th Century Fox in mezzo ad una copiosa nevicata, che da ghiaccio diventa una pioggia di biscotti, sulle meravigliose note di Danny Elfman (che con questa colonna sonora perfetta e indimenticabile raggiunge uno degli apici della sua carriera, contribuendo non poco alle emozioni che questo film regala), che introducono quello che, a tutti gli effetti, è il vero capolavoro del Tim Burton che fu, Edward mani di forbice.

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Johnny Depp, il pirata di Hollywood

 

Sliding doors. A volte è vero che basta solo un attimo, un incontro, per cambiare la storia per sempre. Correva infatti il 1984 quando Johnny Depp era chitarrista dei “The Kids” e Nicolas Cage, conosciutolo ad una festa, gli disse di avere un viso perfetto per fare l’attore: certo la lungimiranza a Cage non manca, visti gli oltre 40 film realizzati da Depp – più il doppiaggio in La Sposa Cadavere e Rango – e l’enorme successo planetario che lo ha catapultato nell’olimpo delle star hollywoodiane, permettendogli di lavorare con registi del calibro di Jim Jarmusch (Dead Man), Roman Polanski (La Nona Porta), Terry Gilliam (con il cult Paura e Delirio a Las Vegas), Michael Mann (Nemico Pubblico) e Tim Burton (8 collaborazioni), con cui ha stretto un’amicizia tale da divenire padrino dei suoi figli.

 

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Daredevil dal film alla serie: Netflix rende giustizia a Matt Murdock

 

Ben Affleck, chi? Nel 2003, in anni in cui i film di supereroi erano pochissimi, la Marvel tenta di portare sul grande schermo la storia di un outsider di Hell’s Kitchen, uno dei suoi personaggi più cupi, introversi e misteriosi: Daredevil. La scelta del protagonista cade però sull’uomo sbagliato, anche se l’accanimento verso Ben Affleck sa di capro espiatorio, perché ben altri erano i veri difetti della pellicola, a cominciare da un tono generale tutt’altro che dark, proseguendo con sequenze dalla dubbia qualità estetica e una colonna sonora per la maggior parte da action movie di seconda categoria (eccezion fatta per gli esordienti Evanescence).

Ora, a dodici anni di distanza, la redenzione: Netflix lancia Daredevil con una serie di 13 episodi, caricati in blocco sulla piattaforma lo scorso 10 aprile, sperando di riuscire a rendere giustizia all’uomo senza paura. Neanche il più roseo ottimismo poteva pensare a un risultato di questo livello, tanto che sin dal pregevole pilot si comprende che ci troviamo di fronte a un prodotto rivolto principalmente agli amanti dei supereroi, ma fruibile anche dai non appassionati.

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