Sussurri e grida, di Ingmar Bergman
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A cura di Francesco Pozzo
Verrebbe da chiedersi: ma coloro che idolatrano la bieca pornografia del dolore che è Vortex di Gaspar Noé, o – peggio – il The Whale di Darren Aronofsky, avranno mai visto Sussurri e grida del maestro Ingmar Bergman? Un film che potrebbe aver girato Dio, se Dio esistesse o fosse esistito (o forse Dio era Ingmar Bergman, semplicemente: avrebbe molto più senso), oltre che la prova concreta e tangibile che ogni grande cineasta fa un unico film per tutta la vita con qualche sottile variazione sul tema: un concetto che allo svedese si applica millimetricamente: dal Posto delle fragole a questo, dal Flauto magico a Luci d’inverno, da Sinfonia d’autunno a Fanny & Alexander, il bisogno e il senso profondo dell’amore e dell’affetto umano, del calore e della vicinanza prima di ogni cosa e prima ancora di un dialogo con un dio assente ma opprimente, è sempre stato il suo comune denominatore: e questo, si badi bene (sembrerà paradossale, ma è così), è un film medicatore: distrugge, ma purifica.
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