ENEMY di Denis Villeneuve (2013)
Che il famoso libro “L’uomo duplicato” di Josè Saramago fosse destinato a diventare un film lo aveva profetizzato lo stesso scrittore portoghese quando, durante un’ intervista promozionale , disse a proposito della sua opera: “sembra un film di fantascienza scritto, diretto e interpretato da cloni agli ordini di uno scienziato pazzo”. A portare sul grande schermo il metafisico romanzo del premio Nobel portoghese ci ha così pensato Denis Villeneuve, acclamato genietto del thriller contemporaneo, reduce dal successo internazionale di Prisoners e con alle spalle due lavori solidi come La donna che canta e Polytechnique; Denis Villeneuve che per l’occasione ha cercato di trasformare i sottili giochi psicologici del libro in un moderno incubo Lynchano ad alto tasso di tensione.
Enemy racconta la storia di Adam Bell ( Gyllenghall), inquieto professore universitario di storia che vive in una moderna megalopoli di cui non conosciamo il nome. Un giorno un collega consiglia ad Adam di guardare un film, Volere è Potere, che a suo avviso potrebbe piacergli molto. Il film è poco interessante, tuttavia, durante la visione, il protagonista nota che una delle comparse è, in tutto e per tutto, uguale a lui: uno scherzo? Un sosia? Un clone? Adam si metterà così sulle tracce di questa persona, cercando di risolvere il mistero.
Molti difetti e pochi pregi in questo nuovo film del regista canadese. Villeneuve tenta di asciugare il romanzo da tutti i dialoghi e i riferimenti psicanalitici, cercando di creare un thriller di sola atmosfera, dove la povertà di snodi narrativi importanti viene compensata da una grande potenza visiva e da un clima di angoscia e paranoia sempre sul punto di sfociare nel paranormale. Tuttavia la sceneggiatura, scritta da Javier Gullon probabilmente su un tovagliolo di un ristorante, ha buchi che sembrano crateri e, per come rinuncia in partenza a prendersi il film sulle spalle, si rivela di una sciatteria tale da vanificare anche tutti gli sforzi registici di Villeneuve, ai quali era palesemente appaltata la riuscita del film. Il regista, infatti, attinge a tutto il suo armamentario pur di creare un po’ di tensione, passando dai più classici espedienti del thriller anni ’90 ( rimbombi, boati, tromboni distorti, rintocchi di tamburi) a svolazzi della MDP che ricordano Gaspard Noè e i lavori di Chris Cunningham per Aphex Twin, fino a citare incomprensibilmente i ragni di Louis Burgeois, ma la debolezza del plot è eccessiva e ciò che emerge alla fine è solo un vuoto esercizio di stile che ambisce a spaventare ma non inquieta nemmeno. Ciò che interessava a Saramago, ossia il tema del doppio e le conseguenze cui può portare la consapevolezza della perdita della proprio unicità nella psiche dell’uomo, in Enemy non viene neanche sfiorato, ma si preferisce correre dietro a una confusa idea di thriller lynchano tanto derivativa quanto anacronistica. Primo passo falso per Denis Villeneuve dunque, che dopo una serie di successi commette il primo errore di una carriera che sino ad ora era stata perfetta.
Voto: 1,5/4