Far East Film Festival 2020: BETTER DAYS, la recensione
Il film di chiusura di questa inconsueta edizione del Far East Film Festival svoltasi interamente online ne è stato anche il trionfatore assoluto: parliamo di Better Days, vincitore del Gelso d’Oro che lo consacra come film con i voti più alti del pubblico (inviati tramite la piattaforma MyMovies). Non è difficile capire cosa abba colpito gli spettatori, dal momento che il film di Derek Tsang è senza dubbio uno dei film più potenti visti al FEFF.
Dramma adolescenziale senza pietà, Better Days è un documento di forte denuncia nei confronti del bullismo scolastico, sin troppo demagogico nell’appello che rivolge direttamente al pubblico per combattere una vera piaga sociale che segna la vita di molti ragazzi. Più che il messaggio manifesto ci interessa la modalità in cui viene messa in scena la storia di Chen Nian (intensa la giovane attrice Zhou Dongyu), studentessa povera e talentuosa che sogna il riscatto nel passaggio all’università ed è letteralmente perseguitata da un gruppo di compagne che hanno già spinto un’altra allieva al suicidio. La ragazza trova protezione in un teppista dal cuore d’oro, Liu Beishan (Jackson Yee), con cui nasce un rapporto complesso e profondo che li vedrà uniti in un drammatico crescendo di tragedie.
Denso di lacrime, rabbia e furore, il film di Tsang è un disperato racconto di formazione che racconta di anime alla deriva in cerca di speranza e di un sistema scolastico difficile (con particolare interesse verso il traguardo dell’esame di stato, vissuto come un fondamentale rito di passaggio all’età adulta): una storia di ragazzi perduti che potrebbe anche funzionare in modo notevole se non fosse costantemente schiacciato da un eccesso di melodramma, che percorre gran parte della narrazione e tocca talvolta vette indigeste.
Voto: 2/4
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