FRAN LEBOWITZ – UNA VITA A NEW YORK, la recensione della serie

Perché Fran Lebowitz: una vita a New York è assolutamente imperdibile |  Wired Italia

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Misantropa, tecnofoba, divertentissima snob. La personalità di Fran Lebowitz, nota umorista americana, è talmente anticonvenzionale da meritare, dieci anni dopo il documentario Public Speaking (2010), un’intera serie. A dirigere Lebowitz è ancora una volta l’amico di una vita Martin Scorsese, che siede con lei al tavolino di un prestigioso club privato di Manhattan e le lascia tempo e spazio per parlare di qualsiasi cosa. “Non ho potere ma sono piena di opinioni”, mette in chiaro la protagonista.

Più che parlare, in realtà, Fran si lamenta: dei trasporti pubblici, delle aste, dei cellulari, dello sport, dei burocrati. Senza dimenticare l’odore della metropolitana o i viaggi. Perché affrettarsi a prenotare un volo, quando le migliori vacanze sono quelle comode comode, sul divano di casa?

Tra critiche e aneddoti (ne basti uno tra tutti: “quella volta in cui Leonardo Di Caprio mi ha prestato una sigaretta elettronica”), la camera di Scorsese segue Fran Lebowitz per le vie reali di New York e per quelle finte del modellino ideato da Robert Moses, visibile al Queens Museum.

Eterogenea e vivace quanto la sua abitante, la Città che Non Dorme Mai è in un certo senso la coprotagonista della serie. Nel raccontare la New York pre-pandemia, Scorsese cita se stesso e cita i grandi maestri del cinema internazionale. Il mondo newyorchese è simile all’universo teatrale di Fellini, richiamato esplicitamente nei titoli di coda di ogni episodio. La colonna sonora di Fran Lebowitz – Una vita a New York (Pretend It’s a City) è infatti l’indimenticabile melodia composta da Nino Rota per La dolce vita (1960). La New York di Scorsese ricorda anche quella di Woody Allen, di cui Fran condivide la stessa visione distaccata e pungente del mondo.

Forse sette episodi per raccontare la vita di Fran Lebowitz, per quanto movimentata e ricca di colore, sono troppi. Ma Scorsese non è nuovo a eccessi di questo tipo, basti pensare alle tre ore e mezza di The Irishman (2019). D’altra parte le sue risate, fragorose e genuine, alle battute dell’amica, dimostrano come il regista non abbia alcuna fretta. Si sta solo facendo una chiacchierata al bar…

Voto: 3/4

 

Marialuisa Miraglia