Green Border di Agnieszka Holland

Non morirai, devi essere convinto che tu stai bene e non morirai!” The Secret Garden
Agnieszka Holland è una regista che sempre voluto raccontare la storia con un occhio atipico, a volte la Storia passata come in Europa Europa (1990) e Raccolto amaro (1985) o la Storia che scorre proprio sotto i nostri occhi A Woman Alone (1956), facendolo in maniera molto cruda e mai voltandosi dall’altra parte. In Green Border, la regista ci vuole proprio parlare di questa Storia che ci scorre vicino, senza che noi ce ne accorgiamo.
Il film si apre proprio facendoci vedere questo “green border” per poi girare tutto il film in bianco e nero, scelta che dà una certa enfasi a quello che viene narrato. Dal momento, però, che quello che viene narrato è già di per sé molto forte, forse questa scelta risulta non necessaria ed appesantisce il film. Green Border ha un mission, veramente molto ardua, ovvero raccontare il fenomeno della migrazione nella tratta balcanica, più precisamente sul confine tra Bielorussia e Polonia, a 360° gradi, unendo le visioni di tutti gli attori in campo: i migranti, la polizia di frontiera e gli attivisti che aiutano i migranti.
Il film è molto duro e a volte si ha l’impressione che si voglia indugiare nel dolore delle persone, come se per avvicinare alla tematica sia per forza necessario far vedere immagini shock. È anche vero che la realtà va raccontata e lo spettatore non deve essere per forza essere preservato, coccolato o bendato. Il film è molto a fuoco sulla parte dei migranti, per quanto dura: lo spettatore soffre coi personaggi, si immedesima, ha una vera empatia con loro e questo rende più difficile la visione. Non riesce però a mantenere la stessa lucidità quando fa vedere la parte della polizia di frontiera e degli attivisti, dove anche se viene analizzata la psicologia dei personaggio (questi non sono bidimensionali e si cerca di uscire dalla classica ottica buono – cattivo), non si riesce ad empatizzare così tanto con queste due categorie per come ci vengono rappresentate, a volte ci sembrano un po’ fuori dalla realtà o non capiamo bene cosa li smuova. Il vero aspetto interessante del raccontare questi due lati è l’emergere di quanto la società polacca sia veramente divisa, sfaldata e lasciata a gestire una questione complessa come quella dei migranti, senza risorse e con il solo strumento della repressione. L’aspetto nel film viene solo accennato ma una scena secondaria mette in luce quanto ancora la Polonia sia ancora in povertà: quando la moglie del soldato di frontiera va a fare l’ecografia, l’ecografo è degli anni’80. Il film è molto complesso anche in queste piccole scelte di racconto, come quando un migrante entra nella casa in costruzione del poliziotto di frontiere, il padre di questo fa finta di sparagli con la mano, come a dimostrare quanto sia radicato l’odio e l’indifferenza per gli stranieri. In queste piccole scene, il film riesce a dare tutta la complessità della problematica, tuttavia anche per un film di più di 2 ore il tema è troppo vasto e, nel tentativo di voler raccontare ogni aspetto, esagerando sulla meticolosità e realtà della narrazione, il film mette troppa carne al fuoco e forse sarebbe stato meglio circoscrivere la narrazione.
L’idea centrale è partire dal personale per andare al generale, ma purtroppo il film rimane a livello personale e si limita a raccontare i personaggi che lo vivono, nel tentativo di voler cogliere tutta la complessità della problematica. Su alcuni aspetti non riesce ad andare in profondità, proprio per la foga di raccontare tutto.
Avrebbe giovato alla narrazione una migliore analisi del contesto storico, sociale e culturale polacco e un soffermarsi sulle scelte degli attivisti, che nel film sembrano dei fuori di testa, altamente organizzati, con strumentazioni ipermoderne (ecografi di ultima generazione portatili), ma assolutamente incapaci di creare un fermento culturale e un dibattito nella società polacca, autoreferenziali e concentrati sulle esigenze più immediate. Il film andava dedicato agli attivisti, che ogni giorno si interfacciano, combattono e soffrono coi migranti in una società che è loro ostile. Sarebbe stato più interessante conoscere questa realtà.
Green Border ha il grande pregio di umanizzare gli attori in gioco, di non dire semplicemente che è colpa dei governi, dell’Europa, dell’establishment e dei poteri forti, ma di dire alla persone che si possono fare delle scelte, che si può contribuire ad aiutare, come ha detto la regista in un’intervista: “Cosa facciamo quando qualcuno in pericolo bussa al nostra porta?”; è una domanda facile, ma anche complessa, da un lato non si vuole mettere in rischio quello che si ha, dall’altro lato davanti al dolore, le difficoltà e la sofferenza non ci si può voltare dall’altra parte. Questa è una lezione che dovrebbe apprendere anche e specialmente l’Europa, perché è un’utopia pensare la questione dei migranti si possa risolvere attraverso la bontà della gente, con un piccolo gruppo sparuto di persone, votando in un certo modo. Sono necessari canali legali di entrata, aiuti sistematici che arrivano da organizzazioni internazionali, un contesto culturale meno ostile a queste persone e una presa in carico di responsabilità da parte di tutti. Per tutti si intende tutta l’Europa e tutti gli strati della società.
Rimane comunque il problema umano, a un certo punto del film si vede un gruppo di adolescenti che dove ragazzi africani stanno assieme a due ragazzi polacchi, che scherzano e ridono: questa scena, per quanto consolatoria e stridente per un film così duro, sicuramente migliorabile, ci vuole dire che le persone se passano del tempo assieme, si conoscono, alla fine stanno bene. Che tu sia siriano, africano, polacco o italiani, tutti hanno gli stessi bisogni. Green Border a tratti sembra un film molto consapevole e centrato sulla tematica, invece verso la fine appare ingenuo. Eppure il finale è la parte migliore, che arriva proprio quando il film sembrava discostarsi completamente dal suo intento iniziale.
Agnieszka Holland si conferma comunque una grande regista e un occhio lucido sulla società europea. Verso il finale c’è anche una bella citazione al cinema di Tarkovsky.
Il film è stato premiato con il Premio Speciale della giuria all’80esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia.
Voto: 2,5/4