PINOCCHIO di Matteo Garrone – La recensione
Mastro Geppetto (Roberto Benigni) è un umile falegname che un giorno riceve in regalo da Mastro Ciliegia (Paolo Graziosi) un particolare pezzo di legno. Con l’intento di costruirsi un burattino per poter vivere e guadagnare dignitosamente, dal tocco di legno magicamente il burattino (Federico Ielapi) prende vita. Contento di avere finalmente un figlio (chiamato Pinocchio), Geppetto seppur povero vende i propri vestiti per comprare a Pinocchio un abbecedario, così da permettere al bambino di poter andare a scuola. Pinocchio però disubbidisce al padre e scappa, inconscio delle avventure e dei pericoli che lo attendono. Disperato, Geppetto si mette alla ricerca del figlio perduto. Nel suo viaggio, Pinocchio incontrerà la Fata Turchina (Marine Vacth), che promette al burattino se egli saprà meritarselo, di trasformarlo in un bambino vero. Tratto dal romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino scritto nel 1883 da Carlo Collodi, Pinocchio è il nuovo film diretto da Matteo Garrone a un anno di distanza da Dogman.
Il regista italiano si cimenta in una nuova trasposizione di uno dei più amati e e celebri racconti della letteratura italiana e non solo, già più volte adattato per il grande schermo, come con il Classico Disney del 1940, o per la tv con la miniserie televisiva del 1972 Le avventure di Pinocchio realizzata da Luigi Comencini. Scritto dallo stesso Garrone assieme a Massimo Ceccherini, il cast vede tra gli interpreti oltre a Roberto Benigni nel ruolo di Geppetto e di Federico Ielapi in quelli di Pinocchio, Gigi Proietti (Mangiafuoco), Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini (Il Gatto e la Volpe), e Marine Vacth nella versione adulta della Fata Turchina.
Con Pinocchio, Garrone sceglie di approcciarsi a una dei romanzi più famosi della storia letteraria, che porta già con sé un trascorso ampio di versioni e trasposizioni tra film, serie tv e cartoni animati. Il regista romano opta per non stravolgere storia e tematiche dell’opera di Collodi, ma anzi se ne fa carico col giusto rispetto ma senza nostalgie o timori. Alle prime impressioni Pinocchio assume i contorni di un’opera minore e meno ambiziosa, lontana dai rischi di film come Gomorra, Reality o Il racconto dei racconti. Ma l’abilità registica, la messa in scena scarna e allo stesso tempo scenografica rimane, così come la bravura di Garrone di riproporre con fare lucido il piacere della storia che racconta.
Se c’è una chiave è quella secondo cui Pinocchio è un film di contrasti, dove bontà e cattiveria sono di pari passo, un film che dipinge a parte sprazzi di bene, un mondo povero, triste e malefico. E da far suo Garrone veste il tutto in un’atmosfera tetra e un’estetica oscura per luoghi e personaggi. Concepito nell’immaginario e girato quasi come un fantasy/horror. Pinocchio riesce a trasferire la sua universalità di favola sempiterna, al di là delle vaste interpretazioni che se ne sono fatte, Garrone è giustamente sintetico nel tratteggiare un percorso di formazione, di attrattiva e allontanamento dal male e ritrovamento del bene. Un Pinocchio che ricalca tutta la sua iconografia e mitologia senza toccare o modificare quasi nulla, ma che colpisce e funziona nella sua essenzialità nell’esporre sentimenti ed emozioni.
Voto: 3/4