ROMANZO DI UNA STRAGE di Marco Tullio Giordana (2012)
(… ) Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.(..)
Pier Paolo Pasolini
È una bestia strana, il cinema italiano. Chiuso nella sua decennale crisi cronica, sembra essersi autocondannato ad annegare talenti e idee nel gigantesco calderone della commedia nazionalpopolare più o meno becera, in cui gli incassi sono inversamente proporzionali all’originalità dei contenuti e la parola d’ordine pare essere “disimpegno”.
E poi, tutto a un tratto, salta fuori un terzetto di film che vanno in tutt’altra direzione e sembrano rifarsi – per lo meno negli intenti – alla prestigiosa stagione del cinema d’impegno civile degli anni ’60 e ’70, quella dei vari Rosi e Petri. Così, dopo l’incursione nel crudo mondo della celere di ACAB e prima che in Diaz Daniele Vicari ci rinfreschi la memoria su uno dei più vergognosi episodi della storia recente, arriva Marco Tullio Giordana, il più “storico” dei nostri autori, a raccontarci la madre di tutte le stragi: l’eccidio di Piazza Fontana che il 12 dicembre 1969 inaugurò la strategia della tensione e fece precipitare l’Italia nel caos cupo degli Anni di piombo.
Liberamente tratto dal libro di Paolo Cucchiarelli I segreti di Piazza Fontana e sceneggiato dallo stesso regista con Stefano Rulli e Sandro Petraglia (già autori di La meglio gioventù), Romanzo di una strage è la cronaca rigorosa, quasi documentaristica, dei fatti che andarono dall’autunno caldo del ’69 all’assassinio del commissario Luigi Calabresi avvenuto nel ’72 ad opera di Lotta continua. In mezzo, la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura che causò 17 vittime, le accuse ai gruppi anarchici (poi rivelatesi del tutto infondate), l’oscuro e maledetto “suicidio” di Giuseppe Pinelli e la scoperta che dietro all’attentato c’erano in realtà forze eversive di estrema destra e reparti deviati del servizio segreto che si muovevano sotto l’egida della Nato: il film non trascura di fare i nomi e cognomi di coloro che, dopo 43 anni, la giustizia italiana non ha ancora saputo inchiodare alle proprie responsabilità.
Romanzo di una strage è un film urgente e importante, perché funziona da perfetto manuale di storia per le giovani generazioni che non hanno studiato questi fatti, né hanno mai sentito parlare di Pietro Valpreda o del golpe Borghese. Tuttavia, per quanto convincente ed esaustiva, la pellicola sembra un po’ mancare di coraggio: non tanto per il carattere agiografico con cui dipinge Calabresi, Moro e Pinelli, quanto perché Giordana si abbandona qua e là a un certo didascalismo televisivo. Per contro, è lecito domandarsi perché la Tv italiana, in mezzo a tante fiction su santi, sportivi e inventori, non ne abbia mai pensata una su Piazza Fontana (proprio questo film inizialmente doveva essere destinato alla televisione, ma evidentemente il tema era troppo scottante per il piccolo schermo). Perciò, sebbene Giordana non sia Marco Bellocchio e benché l’intreccio si accartocci un po’ nelle infinite spire di una storia effettivamente complicatissima, va reso onore a un regista che – grazie anche all’ostinazione del produttore Riccardo Tozzi di Cattleya – ha aggiunto un altro importante tassello a una filmografia che da anni ripercorre con grande onestà narrativa gli episodi più controversi della nostra storia.
Note di merito, infine all’ottimo e ricco cast: se Valerio Mastrandrea e Pierfrancesco Favino impersonano con toni magistrali i personaggi di Calabresi e Pinelli (ben affiancati dalle rispettive compagne Laura Chiatti e Michela Cescon), sorprendente mimetica appare l’interpretazione di Fabrizio Gifuni nei panni di un somigliantissimo Aldo Moro. Ma non vanno dimenticati i ruoli più marginali eppure decisivi di Giorgio Colangeli, Giorgio Tirabassi, Francesco Salvi, Luca Zingaretti, e soprattutto Luigi Lo Cascio (l’idealista Paolillo) e Omero Antonutti (un Saragat difficilmente dimenticabile).