Rumore bianco di Noah Baumbach, la recensione
Con Rumore bianco si ripete la stessa modalità del precedente film di Noah Baumbach, Storia di un matrimonio: passaggio alla Mostra di Venezia 2022, in questo caso come film d’apertura, e poi sbarco su Netflix. Per il suo lavoro più ambizioso, adattamento del celebre romanzo di Don DeLillo, il regista newyorchese ha richiamato l’ormai sodale Adam Driver, affiancato dalla musa e compagna di Baumbach Greta Gerwig e da un bel cast di contorno in cui spiccano Don Cheadle, Jodie Turner-Smith e il Lars Eidinger visto anche in Irma Vep.
Un libro infilmabile, a detta di molti, di uno scrittore che prima di Baumbach aveva provato a catturare David Cronenberg col suo divisivo Cosmopolis. Ambientata a metà anni 80, la storia è quella di una famiglia allargata, formata da un professore universitario e dalla moglie insegnante di ginnastica, classico nucleo piccolo-borghese americano con numerosa prole che comprende figli nati dai matrimoni precedenti. La loro vita viene sconvolta da un disastroso incidente che provoca la fuoriuscita di una nube tossica e dal segreto della moglie Babette, che sperimenta un farmaco misterioso.
Si potrebbe definire Rumore bianco una black comedy apocalittica il cui tema principale è la paura della morte. La verità è che è difficile incasellare questo film in una serie di generi ed etichette perché Rumore bianco è piuttosto un caleidoscopio a colori acidi e intensi di surrealismo, filosofia esistenziale e satira sarcastica sul consumismo capitalista, sul mondo accademico e sulle dinamiche famigliari. Una commedia dolceamara che tocca il drama, sfiora la distopia e il thriller, mescola la love story alla riflessione sulla caducità della vita, sulla fede e sull’iconologia. Rumore bianco è una creatura anomala e bizzarra che ruota attorno al personaggio imperfetto di Jack Gladney, un Adam Driver che si conferma ancora una volta un attore semplicemente mostruoso, un ritratto dai toni grotteschi e quasi coeniani dell’America di Reagan che però si rivela strettamente legato con l’attualità (paradossalmente, è impossibile non pensare al Covid).
Regia e montaggio sono indubbiamente notevoli (insieme alla fotografia di Lol Crawley): la mano di Baumbach è matura e capace di scelte stilistiche eccellenti. Sono diversi i momenti che restano nella memoria, in particolare tutta la parte centrale dedicata alla fuga della nube nera, l’assurdo parallelismo tra le lezioni su Elvis e quelle su Hitler (oggetto di studi del protagonista, un elemento su cui già di per sé potremmo parlare per ore), gli incredibili titoli di coda. Nel suo insieme, però, non tutto funziona e Rumore bianco resta un’opera discontinua e intermittente, oltre che fondamentalmente inclassificabile. Per capire l’America (e non solo) può però essere estremamente utile passare da titoli come questo, che confermano Baumbach come uno tra i cineasti più intelligenti e interessanti, qui al suo film visivamente più spettacolare.
Voto: 2,5/4