SHAME di Steve McQueen (2011)
I wanna wake up in the city that doesn’t sleep,
to find I’m king of the hill, head of the list,
cream of the crop at the top of the heap…
Vergogna.
Il titolo del secondo film del regista Steve McQueen (londinese, classe 1969), presentato in concorso alla Sessantottesima Mostra del cinema di Venezia e che ha fruttato a Michael Fassbender la Coppa Volpi come migliore attore, ci fa capire fin dal principio di essere di fronte ad un’opera tutt’altro che facile.
La vergogna è quella di Brandon, uomo d’affari newyorkese affetto da dipendenza da sesso. La sua incapacità di vivere una sana e pulita relazione sentimentale e la solitudine provocata da squallidi incontri occasionali subiscono una battuta d’arresto con l’arrivo di Sissy (Carey Mulligan), problematica sorella minore, che mina il già fragile equilibrio del protagonista.
Alla sua seconda collaborazione con il regista McQueen (che lo aveva già diretto nel 2008 in Hunger), Fassbender offre l’interpretazione straordinaria ed intensissima di un uomo inabile a controllare i propri istinti, alla perenne ricerca di un brivido per dare un senso alla propria vita.
Un film, Shame, capace di parlarci della solitudine, della ricerca di una (im)possibile liberazione attraverso il sesso, dell’incapacità di esprimere un sentimento reale pur desiderandolo; analisi perfetta di una patologia esistenziale, purtroppo molto comune nella cosiddetta modernità. Analisi che si rivela ancor più spietata e disturbante grazie ad una forma controllatissima e perfettamente padroneggiata da McQueen, caratterizzata (come giustamente osservato da Andrea Chimento) da “lunghi piani sequenza e una incisiva rappresentazione claustrofobica degli ambienti” .
Molte le sequenze-chiave. Tra queste, è d’obbligo citarne almeno due: la performance canora di New York, New York da parte di Carey Mulligan, straziante e dolorosa, con primi piani quasi insostenibili, che riesce a spiegare il rapporto tra i due fratelli meglio di qualsiasi parola, e il dialogo tra Brandon e Sissy davanti ad uno schermo televisivo, a camera fissa, che non lascia scampo, né a loro, né a noi spettatori.