STOKER di Park Chan-wook (2013)
Strano il percorso che sta dietro la realizzazione del primo film in lingua inglese di Park Chan-wook. Tutto parte da una sceneggiatura scritta dal divo del piccolo schermo Wentworth Miller, noto ai fan della serie tv Prison Break per il ruolo di Michael Scofield. L’attore avrebbe dovuto anche dirigere, ma poi ha passato il testimone al più cult dei registi sudocoreani: colui che ha ridefinito i canoni del noir con la sua efferata e immensa vengeance trilogy (Mr Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta), riesce così finalmente a portare in terra americana la sua personalissima e conturbante estetica cinematografica.
Lo spunto di partenza è un celebre e magnifico thriller di Alfred Hitchcock, L’ombra del dubbio. Impossibile non notare la comune presenza dell’enigmatico e affascinante zio Charlie, che “torna a casa” e sconvolge vita e sensi della nipote adolescente, così come molto hitchcockiana è la rappresentazione del male che si annida morboso all’interno di una famiglia borghese. Al posto di una struttura poliziesca, ridotta al minimo, Park incentra però l’intero film sul racconto di formazione della protagonista India Stoker, uno dei più inquietanti personaggi femminili apparsi di recente sul grande schermo. Una creatura selvatica e solitaria la cui iniziazione all’età adulta, cominciata con la morte del padre e l’arrivo di Charlie, coinciderà con una profonda discesa negli abissi del male.
Chiariamo subito ai fan del regista che Park ha lasciato a Seoul gran parte dell’eccesso gore e dell’afflato tragico delle sue opere coreane: seppur eros e thanatos si fondono come raramente prima d’ora e gli zampilli di sangue sono quasi un marchio della pellicola, era lecito aspettarsi un’opera molto più esplicita, violenta ed estrema nel mettere in scena il morboso triangolo tra India, Charlie e l’annoiata madre di lei Evelyn. Per questo, e per scelte contenutistiche non sempre convincenti, il film appare solo parzialmente riuscito.
Peccato, perché la base di favola gotica intrisa di pulsioni incestuose, tare ereditarie e complesso di Elettra è terreno ardito e conturbante, e l’eclettica Mia Wasikowska è a suo agio negli abiti retrò di un personaggio cucitole addosso, lei che fu eroina carrolliana per Tim Burton: India è un’Alice dark e mefitica, a tratti vampiresca (non a caso porta il cognome del creatore di Dracula), e nello stesso tempo una versione femminile di Amleto con elementi comuni alla Carrie depalmiana.
Non male Nicole Kidman nei panni di Evelyn; se, invece, al posto dell’insipido Matthew Goode ci fosse stato un attore più magnetico, forse avrebbe sedotto anche noi. E ora vorremmo essere insieme a India, a percorrere le strade del cuore di tenebra americano.
Voto: 2,5/4